mercoledì 23 ottobre 2013

Cibo tra vita e morte

Non eadem est aetas, non mens/L’età non è più quella, e l’animo neppure

Il cibo rassicura i bambini, distrae i passeggeri in aereo, consola le persone che soffrono. “Consolo” era detto sia il vino drogato che si dava al condannato a morte per attutirne la vigilanza sia, in particolare nell’Italia centro-meridionale, il banchetto offerto o il cibo inviato da parenti e amici alla famiglia del defunto nei primi giorni di lutto. Concludere il funerale con un banchetto aveva il significato di gestire il lutto non più nel recinto familiare, ma di condividerlo con la comunità e contrapporre alla morte il cibo come simbolo e realtà di vita. A Gradoli (cittadina del viterbese) si organizzava, durante la quaresima, un ricco banchetto (vegetariano) per commemorare le anime del Purgatorio (banchetto della penitenza): accentuando il contrasto tra vita e morte si offriva vita ai defunti e la vita tutta avrebbe dovuto uscirne più prospera e felice.  
Il legame tra cibo e vita (e quindi anche tra cibo e morte) è dunque dei più profondi, arcani, originari, e la scrittrice giapponese Ito Ogawa ha il merito di evidenziare con grande immediatezza come tale legame sia sempre attuale e ci fa conoscere come venga vissuto nell’odierno Giappone post-tradizionale. I racconti che compongono La cena degli addii (tr. it., Vicenza, Neri Pozza, 2012) illustrano questo rapporto tra cibo (un’occasione per descrivere ed esaltare la cucina giapponese, così poco e mal conosciuta da noi) e situazioni problematiche, di perdita o di distacco. Una, quella che dà il titolo al libro, riguarda due coniugi che si separano dopo una ricca cena; un’altra si riferisce a due giovani omosessuali che decidono di suicidarsi, ma dopo aver gustato il meglio della cucina di Parigi (e per questo forse rinunceranno al loro progetto!). In due altri racconti, gli scomparsi sono sentiti così presenti da poter “guidare” a prepare o gustare alcuni piatti; ma due delle storie mi sono sembrate particolarmente toccanti: una, Il misoshiro di Kochan, in cui una giovane madre, condannata dal cancro, prima di morire insegna a preparare questa zuppa alla sua bambina, la quale continuerà a farlo (per sempre?) con devozione quasi religiosa; l’altra, Il mio caro cuore colorato, dedicata a una cena molto “particolare” (non aggiungo altro per non guastare l’incanto della lettura) di due anziani coniugi: racconti commoventi fino alle lacrime, due piccoli capolavori!

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