sabato 31 ottobre 2009

Cariatidi e simili#15/Drôle de cariatide...


Cariatide-topo; via E. Pimentel, Roma
(foto RV)

domenica 18 ottobre 2009

Sulla pazienza#5/Modi di dire#2

Di fronte alle perdite o alle avversità di poco conto si dice spesso (più agli altri che a sé stessi) “Pazienza!” o “Basta avere un po’ di pazienza”, mentre già più impegnativo suona il “Ci vuole pazienza!”. “Abbi pazienza!” equivale a “lasciami in pace” o “sii obiettivo”. La pazienza si può perdere e quando sta per venir meno è comune l’esclamazione “Santa pazienza!”, rivelando che tanto santa non deveva essere, e anche limitata, non inesauribile certo come “la pazienza di Giobbe”. Esistevano i giochi di pazienza, quelli da da fare con calma e riflessione, per i quali non è tuttavia richiesta quella “pazienza di un certosino”, necessaria in altre circostanze. La pazienza considerata una virtù minore se legata a cose di poca importanza quando, invece, si configura come sofferta tolleranza, sopportazione delle grandi frustrazioni e dei forti dolori della vita diviene virtù dei martiri. Ce lo ricorda il kanji, il carattere composto col quale è scritta la parola giapponese Nintai. Andando da destra a sinistra, troviamo la misura (la distanza del polso radiale dalla mano, cioè circa 2,5 cm ovvero un pollice) e la barba (peli sotto la bocca), che insieme possono suggerire l’idea di dominarsi toccandosi la barba quando si ha (il carattere di sinistra) qualcosa che ferisce il cuore (spada sovrapposta a cuore).



忍耐

giovedì 8 ottobre 2009

Sul potere: problemi e paradossi

Di fronte ai conflitti di potere presenti nel nostro Paese, pur senza entrare nel merito, qualche considerazione da "osservatore partecipante" sembra inevitabile. Balza infatti in evidenza che c’è qualcosa di paradossale nel fatto che la “destra” (usiamo solo per brevità queste etichette ormai assai discutibili) si scontra con realtà che sembra non saper interpretare in profondità essendo inibita nell’utilizzazione di alcune categorie e analisi del potere provenienti della cultura di “sinistra”: marxista (diritti formali e interessi di classe, democrazia borghese e oppressione reale...), gramsciana (concetto di egemonia), foucaultiana (macro- e micro-circuiti del potere), etc., ritenendo sufficiente ancorarsi alla “volontà popolare” espressa dal voto; mentre la “sinistra”, dimenticate le sue radici culturali, si ritiene legittimata ancorandosi a quelli che la storia delle religioni chiama “miti di fondazione” (resistenza, Costituzione, pacifismo...), che in quanto miti vanno “rispettati” e mai messi in discussione. Osserviamo pertanto che il potere basato sulla “sovranità popolare” si scontra con quelli che si chiamano “poteri forti” (stampa, banche, burocrazia, “intellettuali”, parte della Chiesa, sindacati...), resistenti o ostili alle riforme che avrebbero dovuto segnare il passaggio dalla I alla II Repubblica, con rivoluzionari conservatori, da un lato, e progressisti immobilisti, dall’altro. Nei passaggi storici forti si è sempre verificata la difficoltà, per gruppi e istanze emergenti, a produrre cambiamenti rimanendo nel quadro di regole preesistenti (la Rivoluzione francese avrebbe potuto realizzarsi rispettando le regole dell’ancien régime? Possiamo immaginare il potere dei soviet nel quadro dell’impero zarista?) ed è difficile misurare grado di elasticità e punto di rottura di un sistema istituzionale a fronte di richieste di mutamento: per questo sono state quasi sempre richieste vittime sacrificali (i re uccisi), instaurati terrori e dittature violente e cannibaliche, per arrivare, solo col tempo, a nuovi equilibri e nuove regole.

Una sorta di contro-esempio è rappresentato dal dopoguerra giapponese, con un grande cambiamento sociale e un sistema imperiale ridimensionato, ma conservato nel suo potere simbolico: la differenza è che lì vigilava la super-potenza america...!

La storia dirà “come andrà a finire” lo scontro che abbiamo di fronte e la sua vera natura; oggi, continuiamo ad assistere a un "dialogo" inconcludente tra miti fondativi (con conseguente difesa di rendite, prospettive di bassa crescita e impoverimento progressivo), volontà popolare (che sembra non riuscire e forse non saper ottenere riforme, liberalizzazioni, formazione), “moderati” (che vogliono abbassare i toni, smussare gli angoli e continuare a galleggiare): per quanto?

mercoledì 7 ottobre 2009

Desiderio: La pelle di zigrino

Desiderio: scolasticamente, quel “movimento” cognitivo e affettivo che mira a costruire una realtà interna ed esterna diversa da quella di partenza, teso al raggiungimento o all’evitamento di un oggetto o di una situazione e alla realizzazione di un progetto. Di esso si è detto che definisce l’uomo come mancanza e della “radicalità” del desiderio di essere desiderato (Lacan), del desiderio mimetico (Girard), dei neuroni specchio e dei meccanismi dell’imitazione (Rizzolatti, Ramachandran, ma chi ricorda più Gabriel Tarde, 1890, e il suo studio dell’imitazione come base del legame sociale?). Esprimendo il carattere culturale, e non “naturale”, dell’uomo, l’articolazione del bisogno col desiderio può essere assai complessa e patologicamente distorta, per cui spesso ci troviamo a desiderare ciò di cui non abbiamo bisogno e ad aver bisogno di ciò che non desideriamo. La psicologia clinica si configura, in gran parte, come un’ermeneutica del desiderio, la sociologia mira a smascherarne le manipolazioni, la politica a realizzare quelli socialmente espressi... e via continuando. L’uomo non ne conosce la genesi, sente l’identità di esso con la vita, non sa gestirlo, ne ha paura (v. il magnifico Stalker di Tarkowskij, 1979, viaggio verso una misterioa stanza in cui si esaudiscono i desideri), si inquieta spesso di fronte ai suoi “oscuri oggetti” (Buñuel, 1977), la morale repressiva lo ha visto come via di perdizione, quella emancipatoria ne ha promosso la liberazione, le scuole di saggezza hanno esortato a moderarlo evitando gli eccessi.

Balzac, nel piano del vasto progetto della Commedia umana, ha collocato tra gli “studi filosofici” il suo romanzo fantastico La pelle di zigrino (1831), dedicato al tema. In esso, Raphaël de Valentin, un giovane economicamente dissestato, ottiene da un antiquario una pelle dotata della magica proprietà di esaudire tutti i desideri, ma che progressivamente si restringe, a misura di ogni soddisfazione ottenuta. Il restringersi della pelle è una metafora del consumarsi della vita e delle energie creatrici per il fatto stesso di vivere e di creare, e Raphaël morirà quando il talismano sarà “esaurito”. Spirerà sul seno ritrovato della donna che lo aveva sempre amato, metafora della vita stessa, ma da cui si era “dovuto” allontanare nel doloroso detour dell’esperienza e della maturazione. L’antiquario dice a Raphaël: “Le rivelerò in poche parole un grande mistero della vita umana. L’uomo si esaurisce in due atti istintivamente compiuti che inaridiscono le sorgenti della sua vita. Due verbi esprimono tutte le forme assunte da queste due cause di morte: Volere e Potere. Fra questi due termini dell’azione umana, c’è un’altra formula di cui si impadroniscono i saggi ed io le devo la felicità e la longevità. Volere ci consuma e potere ci distrugge; ma sapere lascia il nostro debole organismo in un perpetuo stato di tranquillità”. La via di una conoscenza salvifica (gnosi) che faccia vivere e trascendere il mondo finito in una consapevolezza più alta viene, tuttavia, rifiutata dal protagonista, che si avvia così verso la infelice “consumazione” della propria vita, secondo il noto “Video meliora proboque, deteriora sequor”.

Del romanzo si potrebbero ricordare la descrizione e la critica della società del tempo (Restaurazione-“monarchia di luglio”), la tipizzazione delle donne dell’epoca, l’enunciazione dei “miti” fondatori del pensiero dell’Autore che troveranno poi più concreta espressione negli “études des mœurs” della Comédie. Ma, alla fine della lettura, viene da domandarsi cosa faremmo se avessimo noi a disposizione una pelle di zigrino come quella del romanzo. In un film di Rohmer si racconta la favola dei tre desideri, nella quale una coppia poteva esprimerne soltanto tre: il marito chiese un salame; la moglie, furiosa, che gli pendesse dal naso; lui, a quel punto, che gli venisse staccato. Così spesso finiscono le nostre aspirazioni...