domenica 27 settembre 2009

Schermaglie#10/Il ginocchio di Claire

Il ginocchio di Claire (1970) è il V del ciclo dei 6 “Racconti morali” del regista Éric Rohmer, film che vogliono evocare i racconti e le conversazioni dei secoli passati. Benché ricco di dialoghi intelligenti e di una messa in scena limpida e semplice, il film è in complesso un po’ noioso. Tuttavia, la discussione che il protagonista Jérôme, un giovane diplomatico prossimo alle nozze, fa con un’amica scrittrice su quali siano, nel corpo femminile, i punti più vulnerabili (all’assalto maschile? Alla seduzione?) e la sua attenzione, rivolta al ginocchio dell’adolescente Claire (che lui desidera accarezzare, cosa che riesce finalmente a fare con innocente facilità durante un temporale, ancora una volta pronuba Juno!), mi hanno suscitato qualche ricordo e riflessione.
Se il mettersi in ginocchio sembra esplicito atto di sotto-missione, di esibita inferiorità di fronte a qualcuno o a qualche divinità, meno comprensibili per noi oggi sono gli atti di abbracciare, carezzare, toccare, baciare le ginocchia. La letteratura classica abbonda di esempi: Achille prega la madre di chiedere a Zeus di soccorrere i Troiani dicendo: “al suo lato siedi, e gli abbraccia le ginocchia e il prega di dar soccorso ai Teucri” (Il. 1, 407); Zeus che, infatti, “di Teti adempir cerca le brame, che lusinghiera gli baciò il ginocchio” (Il., 8, 371); Priamo, recatosi a chiedere la restituzione del corpo di Ettore, “tosto fattosi innanzi tra le man si prese le ginocchia d’Achille, e singhiozzando la tremenda baciò destra omicida” (Il. 24, 478); Ulisse che, incontrando Nausica, “in due pensieri ei dividea la mente: o le ginocchia strignere a Nausìca, di supplicante in atto, o di lontano pregarla con blande parole” (Od. 6, 142), mentre di fronte ad Arete, senza indugio “circondò con le braccia alla Reina le ginocchia” (Od. 7, 147). Ancor più interessanti sono quelle espressioni che troviamo in Euripide, quando il Coro scongiura Medea dall’uccidere i figli: “No, no, per le tue ginocchia (prÕj gon£twn, pròs gonàton), i figli risparmiali” (Medea, v. 853), o quando Ecuba, prostrata davanti ad Agamennone, lo supplica dicendo: “Per le tue ginocchia (tînde goun£twn, tònde gunàton) […] ti prego, Agamennone” (Ecuba, v. 752), e che ritroviamo anche altrove, per es. in Demostene (prÕj tîn gon£twn, sempre col significato di supplicare per, attraverso il riferimento alle ginocchia). Può aiutarci a comprendere il significato di questi atteggiamenti ed espressioni il riflettere sul fatto che gon» (goné) = generazione, discendenza, prole; gÒnoj (gónos) = origine, stirpe, discendenza; gÒnu, gÒnatoj (góny, gónatos, lat. genu, genus) = ginocchio, sono tutti connessi con la radice gon, gen- (che opera nel generare). Supplicare q.u. per le ginocchia significa dunque farlo nel nome della sua stessa vita, per cui il contatto fisico-con e il riferimento-al ginocchio sembrano far appello alla comune umanità che renderebbe empio chi si fosse rifiutato di essere misericordioso e di fare qualche grazia.
C’era questo nel desiderio di Jérôme e nella condiscendenza di Claire? Difficile dirlo, ma non vietato pensarlo.

venerdì 25 settembre 2009

Malraux: l'arte e l'umanità

André Malraux: Ogni capolavoro è una purificazione del mondo, ma la loro lezione comune sta nel loro stesso esistere, e la vittoria di ogni artista sulla propria servitù raggiunge, in un immenso dispiegamento, quella dell’arte sul destino dell’umanità. L’arte è un antidestino.

giovedì 24 settembre 2009

Plaisanteries, dalla rete#2/Proiettando all’incontrario il film della vita...

I think the life cycle is all backwards.

You should die first, you know, start out dead, get it out of the way. You wake up in a an old age home, feeling better every day. You get kicked out for being too healthy, go collect your pension, then, when you start work, you get a gold watch on your first day.

You work 40 years until you're young enough to enjoy your retirement. You drink alcohol, you party, you're generally promiscuous and you get ready for High School.

Then you go to primary school, you become a kid, you play, you have no responsibilities, and, finally, you become a baby.

The last step, you spend your last 9 months floating peacefully with luxuries like central heating, spa, room service on tap, larger quarters everyday, and then... You finish off as an orgasm!

sabato 19 settembre 2009

Camus mistico

Come queste voci senza sesso che nelle cattedrali salgono d’un tratto fino alle più alte volte, mentre la massa scura del coro si tace per dare più valore a questa freccia ardente,

come queste voci la cui supplica si tende disperatamente, senza cedimenti, fino alla morte finale,

come queste voci mistiche che si inebriano del loro misticismo e dimenticano le cupole che le separano da Dio,

come queste voci tenaci e sostenute, avide ed estasiate,

come questi gemiti orgogliosi che non si comprendono che nella sensualità della Chiesa,

come queste voci, infine, che non trovano cercando ma donando,

[così] avevo sognato la vita.

(trad. R. Venturini)

lunedì 14 settembre 2009

Cariatidi e simili#14/Lungotevere

Telamoni di Villa Lætitia, Lungotevere delle Armi, 22, Roma
(foto RV)

sabato 12 settembre 2009

Sergej Vladimirovich Mikhalkov

All’età di 96 anni si è spento a Mosca il poeta Sergej Vladimirovich Mikhalkov, padre dei noti registi cinematografici Andrej Konchalovskij-Mikhalkov e Nikita Mikhalkov. Amato prima da Stalin e poi da Putin, egli era fiero di avere attraversato senza problemi “tutte le tappe della storia della nostra Patria”. Diceva di essersi sempre sentito al servizio dello Stato e del suo Paese. A testimonianza di questa straordinaria capacità di adattamento a regimi diversi, si può ricordare che aveva scritto il testo dell’Inno nazionale (musica di Aleksandrov) in tre versioni diverse, nelle quali compaiono le parole: nel 1943, “Stalin ci ha educato... ci ha ispirato”; nel 1977, “il grande Lenin ci ha mostrato il cammino”; nel 2000, “Che Dio ci guidi”!!!

giovedì 10 settembre 2009

Se dovesse servire una teiera...

Rue de l’Odéon, Paris 6

(foto RV)


mercoledì 9 settembre 2009


Qui, in rue Mazarine, Paris 6, dov’era il locale per il gioco della pallacorda dei mezzadri, cominciò l’avventura del Teatro di Molière, da lui detto Illustre; poi, 1658, la compagnia fu denominata Troupe de Monsieur, frère unique du Roi, e nel 1665 Troupe du Roi (compagnia reale). Nel 1680, sette anni dopo la morte di Molière, con la fusione delle compagnia del Teatro del Marais con la compagnia dell’Hôtel de Bourgogne nasceva la Comédie-Française, detta anche La Maison de Molière.

(foto RV)

martedì 8 settembre 2009

Plaisanteries, dalla rete#1/Il mestolo: resta il fatto...

An elderly priest invited a young priest over for dinner. During the meal, the young priest couldn't help noticing how attractive and shapely the housekeeper was. Over the course of the evening he started to wonder if there was more between the elderly priest and the housekeeper than met the eye. Reading the young priest's thoughts, the elderly priest volunteered, "I know what you must be thinking, but I assure you, my relationship with my housekeeper is purely professional." About a week later the housekeeper came to the elderly priest and said: "Father, ever since the young Father came to dinner, I've been unable to find the beautiful silver gravy ladle. You don't suppose he took it do you?" The priest said: "Well, I doubt it, but I'll write him a letter just to be sure." So he sat down and wrote: "Dear Father, I'm not saying that you 'did' take a gravy ladle from my house, and I'm not saying you 'did not' take a gravy ladle. But the fact remains that one has been missing ever since you were here for dinner." Several days later the elderly priest received a letter from the young priest which read: "Dear Father, I'm not saying that you 'do' sleep with your housekeeper, and I'm not saying that you 'do not' sleep with your housekeeper. But the fact remains that if you were sleeping in your own bed, you would have found the gravy ladle by now."

sabato 5 settembre 2009

Roma barocca#8/compare una finestra...

(foto RV)

A lato dei finestroni strombati della loggia vetrata di Palazzo Barberini (Bernini), appena prima dell'inizio delle ali della facciata, compare una finestra piccola (Borromini), elemento decorativo inatteso su un insieme tanto semplice. Yves Bonnefoy* (Roma 1630, l'orizzonte del primo barocco, Torino, Nino Aragno Ed., 2006) scorge, in quell'elemento, alla luce dell'opera successiva di Borromini, la fatalità d'un destino. “Infatti, la ‘finestra Barberini’ è realmente il primo manifestarsi della forma ‘bizzarra’ che Borromini predilige, irta d'angoli crudeli e scavata di ombre profonde e che si raccoglie su sé stessa, come un elegante animale accovacciato, nell’autonomia d'un profilo. Di una siffatta figura ben si sente, ammaliata com’è da sé medesima, che rifiuta di sottomettersi all’autorità di un centro, di abdicare di fronte alla Presenza, di confessare che l’unità è più vera e reale di ogni esistenza individuale”. È l’affermarsi dell’autonomia dell’io in seno all’Essere che porterà il Borromini a comporre una “musica commovente nella quale ogni forma, nel tentativo di svincolarsi da sé stessa, si annoderà a un’altra forma e a un’altra ancora,secondo una ritmica sottilissima, e senza mai fare altro che ricostruire, su un piano di complessità più elevata, la sventura della forma chiusa”: la forma nostra, soggettiva, moderna, la forma della nostalgia dell'uomo che s'angoscia e si sperde nella ricerca di una paradossale redenzione nella “fatalità segreta della forma chiusa”. *Yves Bonnefoy, n. 1923, poeta, saggista, docente dal 1981 al 1993 di Études comparées de la fonction poétique al Collège de France.