venerdì 28 maggio 2010

Calore e sudore

Con l’arrivo del caldo torna a farsi presente la sudorazione, meccanismo di termodispersione importante, ma generalmente avvertito come fenomeno sgradevole, inelegante e, possibilmente, da contrastare.

Il sudore, si sa, è prodotto dalle ghiandole sudoripare. All’esame di Patologia generale il prof. Gennaro Di Macco, ai tempi del mio studentato, chiedeva spesso: “Cosa ci vuole per sudare?” Lo studente, “sudando freddo”, azzardava risposte del tipo “Una temperatura esterna molto elevata” oppure “Avere bevuto molto” e via così, precipitando nel suo gorgo di insipienza senza fornire l’unica attesa risposta corretta: “Le ghiandole sudoripare”, perché, com’è noto, non tutte le specie animali ne sono fornite.

Al sudore vero e proprio, si affianca la secrezione delle ghiandole apocrine, il cui secreto, degradato dalla flora batterica presente sulla cute, è quello che può conferire al sudore un odore acre e sgradevole.

Non era questo il caso di Alessandro il Grande, almeno a sentire Plutarco che, nella Vita a lui dedicata (tra Le vite parallele), così scriveva: “Nelle memorie di Aristosseno ho letto che dalla sua pelle emanava un gradevolissimo profumo, e fragranza spirava dalla sua bocca e da tutto il corpo, tanto che ne erano impregnate le vesti. Ne era forse causa la temperatura corporea che era molto alta, quasi da febbre; secondo Teofrasto [l’autore dei Caratteri] il profumo promana dall’evaporazione degli umori originata dal calore. Perciò le regioni più calde e sciutte della terra producono in massima abbondanza i profumi migliori; il sole infatti toglie l’umido, che è un elemento di corruzione diffuso nei corpi”.

Il corpo degli dèi e degli eroi, quello delle donne più belle e dei santi profuma, la fragranza essendo un carattere, a vario titolo, connesso alla divinità. E noi? A noi comuni mortali, oltre che augurarci di incontrare qualcuno di questi corpi “superiori”, forse non resta che puntare su borotalco e cloridrato di alluminio...

giovedì 27 maggio 2010

Cariatidi e dintorni#23/Roma

Università LUISS, Roma, via Appenini
(foto RV)

lunedì 24 maggio 2010

La caccia e il racconto

Carlo Ginzburg, storico originale, creativo, attento a fenomeni come il folklore, la stregoneria, le microstorie, è anche, con le sue riflessioni epistemologiche, impegnato a delucidare (come nel saggio Spie, compreso nel volume Miti, emblemi, spie, Torino, Einaudi, 2000) l’emergere e l’affermarsi nell’ambito delle scienze umane di un “paradigma indiziario”, basato proprio sulla rilevanza da assegnare a fenomeni apparentemete trascurabili.

Il detective, lo psicoanalista, lo storico dell’arte, il semeiologo medico... sembrano tutti attualizzare questo procedere che Ginzburg riconduce alla figura del cacciatore. Scrive Ginzburg: «Per millenni l’uomo è stato cacciatore. Nel corso di inseguimenti innumerevoli ha imparato a ricostruire le forme e i movimenti di prede invisibili da orme nel fango, rami spezzati, pallottole di sterco, ciuffi di peli, piume impigliate, odori stagnanti. Ha imparato a fiutare, registrare, interpretare e classificare tracce infinitesimali come fili di bava. Ha imparato a compiere operazioni mentali complesse con rapidità fulminea, nel fitto di una boscaglia o in una radura piena d’insidie. […] Forse l’idea stessa di narrazione (distinta dall’incantesimo, dallo scongiuro o dall’invocazione) nacque per la prima volta in una società di cacciatori, dall’esperienza della decifrazione delle tracce. […] Il cacciatore sarebbe stato il primo a “raccontare una storia” perché era il solo in grado di leggere, nelle tracce mute, se non impercettibili, lasciate dalla preda, una serie coerente di eventi» (Tracce, sintomi, indizi, p. 166). Antoine Compagnon, professore di letteratura francese moderna e contemporanea al Collège de France, riprende e rafforza questa ipotesi di Ginzburg, sviluppando l’analogia tra il racconto e la caccia (lezione del 22 03 2009). Il cacciatore, che ritorna da chi è rimasto a casa, all’accampamento, al villaggio, racconta la partenza, gli ostacoli, l’attesa della preda, la paura, il combattimento, il ritorno vittorioso: la caccia, il racconto di caccia e ogni racconto, la vita tutta come racconto — quando ri-costruita, ri-pensata come insieme coerente e significativo di eventi, cioè come bio-grafia — hanno, dunque, una struttura comune, e il lettore stesso può essere visto negli stessi termini, quando si muove al riconoscimento di segni, utilizzando indizi e lasciandosi guidare dal suo “fiuto”.

C’è un aforisma di (o attribuito a) Claude-Adrien Helvétius (filosofo illuminista, 1715-71) che dice: «Ciascun essere gettato su questa terra parte tutte le mattine alla caccia della felicità»: per quanto possa sembrarci strano, ogni giorno — che siamo filologi, poliziotti, danzatori o cuochi — andiamo a mettere in scena un’avventura di caccia. Confesso di avvertire un qualche turbamento e un senso di disagio nel riconoscere in me la presenza dell’antenato paleolitico. Ma Jung, oggi, ci è di guida nel sapere qualcosa sul peso e il valore degli archetipi, che il cacciatore “originario” ignorava: un po’ di strada l’abbiamo fatta...

domenica 23 maggio 2010

Modi di dire#6/Ultrà

Si è ormai da tempo affermato, nel linguaggio giornalistico e in quello quotidiano, il termine ultrà o ultra per designare la tifoseria o i singoli tifosi fanatici di una squadra sportiva oppure, in politica, per qualificare chi professi opinioni o mostri atteggiamenti estremistici. Ma non tutti conoscono la storia di questa parola. Derivante dalla preposizione latina ultra = al di là, il termine è stato usato in Francia nel periodo rivoluzionario (Robespierre che opponeva mesures ultra-révolutionnaires e mezzi citra-révolutionnaires) e soprattutto nella Restaurazione (1815-30), quando significò quasi un partito, quello degli ultraroyalistes (coloro che erano più realisti del re!), sostenitori del ritorno alla monarchia assoluta e oppositori della costituzione concessa da Luigi XVIII. Appoggiati dal fratello del re, poi re col nome di Carlo X (1824-30) dopo la morte di Luigi, ottennero vari successi, specie nel campo dell’istruzione e dei rapporti con la Chiesa. Con la rivoluzione del 1830 e l’instaurazione della “monarchia di luglio” (1830-48, Luigi Filippo “re dei francesi” e nuova costituzione) il gruppo subì una definitiva sconfitta; il termine, tuttavia, rimasto a indicare genericamente gli oltranzisti, si è diffuso dalla Francia ad altri Paesi ed è ben vivo ancor oggi tra noi.

giovedì 6 maggio 2010

Cariatidi e dintorni#22/Palermo







Palermo, Palazzo Dagnino in Piazza Marina, già Palazzo Notarbartalo di Villarosa, secolo XVIII
(foto Vito Ferri)

S. Alessio e Proust

Giovanni Macchia, parlando di Proust, dice: per Lui “il linguaggio è tutto: crea la vita stessa nel momento in cui la ripensiamo. È la lotta con la sensazione fuggevole, transitoria, per darle attraverso la metafora un suggello d’eternità. È un S. Alessio che prima di morire consegna al rappresentante di una cristianità laica il suo messaggio”.

Perché collegare Proust a questo Santo? La domanda mi ha portato alla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze (famosa raccolta di vite di santi; XIII sec.), dove a proposito di S. Alessio leggiamo:

“Si accorse, per rivelazione, che ormai si faceva vicina la fine della vita, e allora chiese carta e inchiostro e scrisse per ordine tutta la sua vita. La domenica dopo la messa si sentì nella chiesa una voce dal cielo che diceva:
– Venite a me, voi tutti che soffrite e siete gravati: io vi rifocillerò. Tutti quelli che udirono la voce, atterriti, caddero proni, ed ecco che la voce parlò di nuovo:
– Cercate l’uomo di Dio, che preghi per Roma. Lo cercarono, ma senza trovarlo, e la voce parlò una terza volta: – Cercatelo nella casa di Eufemiano [il padre, che lo ospitava ignorandone l’identità]. Ma Eufemiano, quando gli fu chiesto, disse di non saperne nulla. Allora gli imperatori Onorio e Arcadio con il papa Innocenzo [Innocenzo I, papa negli anni 401-17] andarono alla casa di Eufemiano, e il servo che si occupava di Alessio andò dal padrone e disse:
– Signore, guarda se non è quel povero forestiero che sta in casa nostra: è un uomo di vita elevata e di gran pazienza. Eufemiano allora corse da Alessio, ma lo trovò morto, con il volto raggiante come quello di un angelo; volle prendere la carta che stringeva in mano, ma non riuscì. Raccontò allora l’accaduto agli imperatori e al papa, e quando questi entrarono nel luogo ove si trovava Alessio dissero:
– Benché noi siamo peccatori, reggiamo tuttavia le sorti del regno, e questi ha nelle sue mani la cura dell’intero gregge. Dacci dunque quella carta, perché possiamo sapere cosa vi è scritto. Il papa si avvicinò e prese la carta dalla sua mano, e Alessio la lasciò prendere facilmente. La fece leggere alla presenza del popolo, d’una gran folla e del padre di Alessio”.

Dunque il Santo, sentendosi vicino al termine della vita, chartam cum atramento petiit et totum ordinem vitae suae ibidem conscripsit. Alcune considerazioni: 1. Siamo di fronte all’esigenza di tentare una riconfigurazione narrativa della vita con l’intento di darle (totum ordinem) unità, coerenza e senso (quel che caratterizza ogni vera bio-grafia); 2. La scrittura non è una forma di autocompiacimento ma è sentita come un dovere; 3. Prendere lo scritto dalle mani del morto non riesce al padre ma riesce invece facilmete al papa: il messaggio non è per tutti, ma richiede delle precondizioni, il destinatario deve essere “qualificato”.

Tornando a Proust e al suo impegno per ritrovare il tempo perduto, esprime bene la sua fatica e la sua “liberazione”, quello che, secondo la testimonianza della governante e confidente Céleste Albaret, ponendo la parola “Fine” al manoscritto della Recherche (1921), scrisse: “Cara Céleste, ora glielo dico. È una grande notizia. Stanotte ho messo la parola ‘fine’... Adesso posso morire”. La vita era stata scritta e questo era la “redenzione”: consegnando il suo messaggio, Proust è un S. Alessio del nostro tempo.

A quanto so, il posto di santo patrono degli scrittori (nonché segretari, dattilografi, informatici) mi risulta già “occupato” da San Cassiano: si potrebbe proporre per S. Alessio quello di protettore degli scrittori impegnati nell’opera ultima!

(Roma, Basilica di S. Clemente, foto dal web)

domenica 2 maggio 2010

La scomparsa di Pierre Hadot

Un’altra stella del firmamento del Collège de France si è spenta: Pierre Hadot è morto, a 88 anni, nella notte tra il 24 e il 25 aprile scorsi. Hadot, storico della filosofia antica, aveva la cattedra di Storia del pensiero ellenistico e romano, dalla quale aveva insegnato dal 1982 al 1991. In un periodo in cui la riflessione filosofica come maniera di vivere, lavoro continuo su di sé per autotrasformarsi è divenuta estranea al lavoro dei filosofi di professione, Hadot ha avuto il merito di richiamare, specialmente attraverso lo studio della filosofia antica, alla necessità di ricondurre la filosofia alla ricerca della saggezza. Ben nota è l’influenza che questo modo di guardare alla saggezza antica (v. in paricolare il volume Esercizi spirituali e filosofia antica) ha avuto sulle ultime ricerche di Foucault (Tecnologie del sé) e su altri.

Portando avanti la sua riflessione, si era spinto fino ad autori come Goethe e Nietzsche, cosa che gli faceva rilevare la presenza di “un filo conduttore fondamentale, il gioioso consenso alla vita e all’esistenza nel mondo, la gioia di esistere”. Ciò lo conduceva certamente oltre i concetti di atarassia adiaforia apatheia dei greci, senza nascondere che “vi è nell’esistenza, a causa di ciò che in essa è totalmente inspiegbile, qualcosa di mostruoso e di terrificante”. Tuttavia, come per salvare il gioioso fatalismo goethiano (ed ecco l’ombra della teodicea), Hadot (che ordinato nel 1944 lasciò la Chiesa nel 1952) si arrestò prima di arrivare a una visione tragica della vita e di addentrarsi nella difficile via che ho più volte indicato come “conciliazione con l’inconciliabile”. Seguendo quindi un percorso già battuto, di fronte alla “immensa sofferenza cui è sottoposta la maggioranza dell’umanità”, affermando che “la vita filosofica non consiste solo nella parola e nella scrittura, ma nell’azione comunitaria e sociale”, prospettava la via di uscita “dell’azione al servizio degli altri”. Questa, sia ben chiaro, resta fondamentale, tuttavia, la diversità di prospettiva rispetto ai “giustificazionisti” sta nel non restringere la "protesta" nei confronti del male a una protesta “storica”, ma nel dare all'azione etica il valore di protesta "metafisica", come non complicità con una organizzazione del Mondo in cui il male dei mali è nel finito e in ciò che esso implica (non è stato detto dall'Illuminato: “Tutti i fenomeni fisici e mentali comportano sofferenza", Dhp., 278?).

OPERE orig. e trad.: Marius Victorinus, Traités théologiques sur la Trinité, I-II., introd. trad. et notes, Paris, Éditions du Cerf,1960.
- Plotin ou la simplicité du regard, Paris, Plon,1963, plusieurs rééditions; dernière édition, Paris, Folio 
- Essais, Gallimard,1997. Trad. en anglais, en italien, en roumain, en russe, en tchèque.
- Marius Victorinus, Christlicher Platonismus. Die theologischen Schriften des Marius Victorinus, introd. par Pierre Hadot (trad. Ursula Brenke), Zürich-Stuttgart, Artemis Verlag, 1967.
- Porphyre et Victorinus, I-II, Paris, Éditions du Cerf, 1968.
- Marius Victorinus. Recherches sur sa vie et ses uvres, Paris, Études augustiniennes, 1971. 
- Ambroise de Milan, Apologie de David, introd., trad. et notes, Paris, Éditions du Cerf, 1977.
- Exercices spirituels et philosophie antique, Paris, Études augustiniennes, 1981 (deux rééditions)Trad. en allemand, en anglais, en italien .
- Zur Idee der Naturgeheimnisse. Zum Widmungsblatt in den Humboldtschen Ideen zu einer Geographie der Pflanzen, Publications de l'Académie de Mayence, 1982
- Plotin,Traités 9, 38, 50, Paris, Éditions du Cerf, 1988-1994. Traductions commentées.
- Préface à E. Bertram, Nietzsche. Essai de mythologie, Paris, Le Félin, 1990 (p. 5-44) 
- Préface à Philostrate, La Galerie de Tableaux, Paris, Les Belles Lettres, 1991.
- La Citadelle intérieure. Introduction aux Pensées de Marc Aurèle, Paris, Fayard, 1992, rééd. 1997. Trad. en allemand, en anglais, en italien.
- Qu'est-ce que la philosophie antique? Paris, Folios Essais, Gallimard, 1995. Trad. en espagnol, en italien, en portugais, en roumain, en russe; en allemand et en anglais.
- Études de philosophie ancienne, (recueil d'articles), Paris, 1998.
- Marc Aurèle, Pensées, livre I, éd., trad. et comm., Paris, 1998.
- Plotin. Porphyre, Études néoplatoniciennes (recueil d'articles), Paris, 1999.
- Arrien, Manuel d'Épictète, introd., comm. et notes, Paris, Livre de Poche, 2000.
- La Philosophie comme manière de vivre, Entretiens avec J. Carlier et A.-I. Davidson, Paris, Albin Michel, 2001.
- N’oublie pas de vivre. Goethe et la tradition des exercices spirituels, Paris, Ed Albin Michel, 2008. Trad. en italien.

Modi di dire#5/Nun se frega er Santaro

I Santari sui gradini delle chiese romane solevano offrire l’immaginetta del Santo di cui si solennizzava la festa (Un ber San Luviggi! — Un ber San Filippo! — Un sòrdo la vera e mmiracolosa immaggina de la Madonna der Càrmine!). Uno di questi “spacciatori” offriva un giorno cinque nuovi santi di recente canonizzati da Pio VII (papa negli anni 1800-23) strillando: “Un baiocco cinque santi e ‘r papa a uffa!”. Giggi Zanazzo (1860-1911), poeta e commediografo, uno dei fondatori della romanistica, in Novelle, favole e leggende romanesche scrive che “l’affare passò lliscio per un pezzetto, insino a ttanto che nun diede sur naso ar Guverno. 
Un ber giorno defatti er Santaro fu agguantato e mmesso in catorbia. E ddoppo che ce l’ebbeno fatto cantà per un par de mesate, un giorno fu arilassato in libbertà. 
Lui, poveraccio, s’ariprese bbaracca e bburattini, e ss’arimesse a ffa’ de bber nôvo er mestiere; ma strillava sortanto: 
- Un bajòcco cinque santi! 
Quanto un giorno un forestiere (che ar Santaro che cciaveva er naso fino, je puzzò dde spia), je domannò 
- E er papa auffa? 
E llui j'arispose : 
- Nun se frega er santaro. 
E se messe subbito a strillà: 
- Un bajòcco cinque santi!

La saggezza popolare ha tramandato questo aneddoto per sottolineare la giusta prudenza di chi, sulla base di una brutta esperienza fatta, sta attento a non farsi trascinare una seconda volta nello stesso errore: può valere nel commercio, negli esami, in amore e... in politica (!)