giovedì 30 settembre 2010

Mitici#2/Asile Sainte-Anne



Asile Sainte-Anne, Hôpital psychiatrique
Paris

martedì 28 settembre 2010

Modi di dire#10/Franchi tiratori

Qual è l’origine di questa espressione? Per conoscerla dobbiamo risalire almeno alla guerra franco-tedesca del 1870, che oppose la Francia del Secondo Impero ai regni germanici uniti, quando i soldati tedeschi invasori si vedevano sovente insidiati alle spalle da gruppi di “franchi (cioè liberi, ove franco ha il significato di sincero, onesto, esplicito e, quindi, libero da ogni dipendenza, servitù, dominio) tiratori” che si erano formati alle loro spalle. Costituivano questi una sorta di milizia popolare volontaria, non inquadrata nell’armata imperiale, ma non priva di un suo statuto legale. Una disposizione imperiale del 1868 ne riconosceva infatti la legittimità, fissando nel contempo alcuni obblighi per gli appartenenti (che dovevano provvedere autonomamente a equipaggiamento, armamento e uniformi, risultanti, appunto, abbastanza difformi tra loro!). Il generale Helmuth von Moltke, comandante dei soldati tedeschi, con una direttiva del settembre 1870 negava, invece, ogni riconoscimento a queste formazioni, esplicitando che gli appartenenti a esse in quanto “irregolari” sarebbero stati assimilati a malfattori, soggetti a un consiglio di guerra immediato che poteva condannarli alla pena di morte e che i villaggi, dove fossero avvenuti agguati da parte di tiratori non identificati, sarebbero stati considerati collettivamente responsabili e oggetto di rappresaglie (come accadde, ad es., a Bazeilles, presso Sedan).

Durante la seconda guerra mondiale troviamo la locuzione nuovamente impiegata per designare una organizzazione armata di resistenza all’occupazione militare tedesca, detta F.T.P., Francs-tireurs et partisans, creata dal Fronte nazionale. Essa fu poi sciolta nell’ottobre 1944, quando venne integrata nell’armata del generale de Lattre.

Se l’espressione è stata impiegata in seguito nell’accezione di persona che, lavorando da sola, professa indipendenza di spirito senza piegarsi a discipline imposte dall’esterno, è nel linguaggio politico italiano degli anni Cinquanta che assume il significato, oggi prevalente, in riferimento a chi, appartenente a un partito o a uno schieramento, in votazioni segrete, vota in modo diverso da quello deciso ufficialmente dal proprio partito o schieramento. Viene ricordato, in proposito, quanto osservava Gino Pallotta, giornalista e saggista, nel suo Dizionario politico e parlamentare (Roma, Newton Compton, 1976): «nel franco tiratore parlamentare c’è, riflessa, l’immagine del “cecchino”, che, nascosto, tira all’improvviso». Questo ha fatto passare, nel corso di un secolo, la figura del franco tiratore da quella dell’oscuro eroe popolare a quella del traditore che, approfittando della segretezza, non esista a trasgredire le indicazioni del proprio gruppo di appartenenza.

domenica 26 settembre 2010

Consolazione#1

Il verbo “consolare” si riferisce all’azione di lenire il dolore che qualcuno prova per una disgrazia, una perdita, un malanno. La consolazione degli afflitti è anche una delle cosiddette opere di “misericordia spirituale”. La parola viene dal latino con- e solari, col significato appunto di mitigare, ma se solari è legato a sollus, intero, e quindi solo, si può dire che è l’aiuto che si apporta all’uomo solo col suo dolore (ad es., solari famen è soddisfare la fame). In questa famiglia di parole, spesso considerate sinonimi, penso vadano invece tenuti distinti il “conforto”, azione che dà forza per affrontare e combattere una situazione negativa, il “sollievo” che solleva, cerca cioè di allontanare uno stimolo nocivo o ridurre una condizione dolorosa in atto e la “consolazione” che tenta di attenuare un dolore dovuto a cause e condizioni che non si possono modificare. Viene impiegato anche il sostantivo “consolo”, non soltanto come sinonimo di consolazione, ma con i significati di vino drogato che si dava al condannato a morte per attutirne la viglilanza e — specie nell’Italia meridionale — di banchetto offerto o cibo inviato da parenti e amici alla famiglia del defunto nei primi giorni di lutto.

Nell’Antichità classica, “consolazioni” sono, di queste voglio parlare qui, le composizioni filosofico-letterarie, spesso redatte in forma di lettera, aventi la fisionomia di trattatelli morali, scritte al fine di consolare sé o altri di qualche dolore e, in particolare, della morte di una persona cara. Tra queste, sono da ricordare il De Consolatione di Cicerone, scritta per consolare il proprio animo della morte della figlia Tulliola (e di cui sono rimasti solo pochi frammenti), le Consolationes di Seneca (a Marcia, a Polibio, alla madre Elvia), quelle di Plutarco Ad Apollonium e Ad Uxorem. Fu la  sofistica a dare il maggiore contributo alla costituzione di questo genere letterario che fa parte di un genere più ampio di scritti, aventi finalità analoga, quelli sulla tranquillità dell’anima.
Il primo autore che scrisse di una tέcnh ¢lup…aj (tecnica di liberazione dal dolore) sembra sia stato il filosofo e retore greco Antiphôn o  Antifonte (V sec. a. C.), del quale, nelle Vitae X Oratorum (dello Ps.-Plut.), si narra di questa sua attività, precoce esempio di psicoterapia o consulenza filosofica: «Avendo allestito a Corinto un locale nei pressi del mercato, egli aveva affisso sulla porta un cartello in cui affermava di possedere una tecnica per curare le angosce delle persone mediante le parole. Consentendo loro di conoscere le cause delle proprie malattie, egli poteva prescrivere immediatamente il rimedio, a loro conforto. Ma dopo qualche tempo, valutando quell’attività come non rispondente alle sue attese, egli si dedicò allo studio e all’insegnamento dell’oratoria». Alla fine dell’Antichità la consolazione si insegnava nelle scuole di retorica e, come l’orazione funebre — della quale è parente stretta — era divenuta un esercizio scolastico. Era naturale che quindi ci fosse un repertorio di “luoghi comuni”, citazioni, esempi, da utilizzare nei modi opportuni secondo le circostanze. Per questo, attraverso lo studio delle composizioni consolatorie, possiamo conoscere il comune sentire sulla morte e sui modi di fronteggiare la sofferenza di fronte all’irreversibilità e ineluttabilità di tale evento.

Jean Hani, nel suo commento alla Consolatio ad Uxorem di Plutarco (ed. Les Belles Lettres), riporta quelli che sono i principali topici tradizionali delle consolazioni e cioè:
inopportunità delle consolazioni fatte in tempi sbagliati, che aggravano il dolore;
critica dell’afflizione eccessiva, nociva alla salute dell’anima e del corpo;
elogio di un dolore moderato che non comprometa l’integrità della pesona;
idea che l’afflizione è prodotta da una falsa opinione, per cui un corretto ragionamento potrà guarire il dolore restituendo costanza e controllo di sé;
che la morte è inevitabile ed è nell’ordine della natura;
che le vicissitudini del destino fanno sì che la vita, che è breve, sia anche piena di mali;
che lo stato dopo la morte equivale a quello che precede la nascita;
che le nostre disgrazie non sono paticolari e individuali, ma comuni a tutti;
che la morte inroduce il defunto nella vera patria, quella celeste;
che il miglior mezzo che abbiamo per onorare i nostri morti, e assicurare la pace della nostra anima, è quello di coltivarne il ricordo.
(continua)

mercoledì 22 settembre 2010

Equinozio d'autunno

vedi 21 settembre 2008

sabato 18 settembre 2010

Schermaglie#16/L'arca russa

L’Arca russa (2002) è uno dei film più noti del regista russo Aleksandr Nicolaevič Sokurov, considerato un continuatore dell’opera di Tarkovsky. Dapprima “prigioniero” all’interno dell’URSS, la sua opera dalla fine degli anni Ottanta ha potuto essere progressivamente conosciuta e a Parigi è in programma una retrospettiva della sua produzione. Regista elegiaco, nostalgico, introspettivo, nell’Arca russa un inivisibile regista contemporaneo si trova all’interno del Museo dell’Ermitage (a San Pietroburgo, già reggia imperiale) ove accompagna un diplomatico francese dell’Ottocento in una visita-confronto tra il presente del museo e le opere e i personaggi del passato. La rivisitazione dello splendore della Russia zarista si conclude con una straziante uscita dal Palazzo delle centinaia di attori e comparse in costume che si avviano verso il nulla, concludendo così l’ininterrotto ed eccezionale piano-sequenza che costituisce il film (un’unica sequenza della durata di 90 min, che abbraccia tutto il contenuto in solo, angoscioso respiro!). Il film è una riflessione sulle aristocrazie, il loro splendore, la loro fine, il loro succedersi e tramutarsi: aristocrazia come perfezione (o, almeno, rappresentazione della perfezione!) nel linguaggio e nel gesto, negli sguardi e nelle stoviglie, nel vestiario e nella condotta, in tutto ciò che eleva il biologico alla dignità della coscienza. La Russia distrusse la sua aristocrazia nel XX secolo e, dopo il Terrore, tentò di ricostruirne un’altra, ma il suo bonapartismo imperfetto travolse anche quella che stava nascendo, violenta nell’apparato militare e sanguinaria nell’apparato burocratico-partitico. È finita come sappiamo. E ora? E noi? Voglio concludere, per continuare a riflettere, citando una fonte non sospetta, A. Camus, che nei Taccuini scriveva: «Ogni società si fonda sull’aristocrazia, perché essa, se è tale, è esigenza nei confronti di sé stessa, e senza questa esigenza ogni società muore».

giovedì 16 settembre 2010

Tommaso Crudeli

Il gentile terremoto
coll’amabile suo moto
smantellava le città;
mentre il fulmine giulivo,
che non lascia l'uomo vivo,
saltellava or qua, or là.

Con questi ironici versi, quasi strizzandoci l’occhio, il poeta toscano Tommaso Crudeli (1703-45), massone, anticonformista libertino, vittima della “santa” Inquisizione, sembra volerci aiutare a liberarci dei sostenitori della teodicea, dell’armonia taoista e del “tutto va bene”.

martedì 14 settembre 2010

Modi di dire#9/Bastian contrario

Bastian contrario si dice di chi sistematicamente contraddice, per polemica o partito preso. È parente prossimo del guastafeste, della persona che condiziona negativamente l’umore degli altri, fa cambiare programmi, etc. L’espressione sarebbe un caso di antonomasia, poiché sembra aver avuto origine dal cognome di Sebastiano/Bastian Contrari/Contrario, leggendario malfattore, vissuto nel Seicento in Piemonte (?) e morto impiccato. Attenzione, dunque, a non contraddire troppo!

giovedì 9 settembre 2010

Mitici#1



Librairie Guillaume Budé (Les Belles Lettres): 
95, boulevard Raspail
, 75006 Paris

sabato 4 settembre 2010

Schermaglie#15/La donna del ritratto (1944) di Fritz Lang

È uno dei più interessanti film dell’esilio americano di Fritz Lang e potrebbe intitolarsi, come il libro di Yehoshua Abraham, Il potere terribile di una piccola colpa.
Si narra di un integerrimo professore di criminologia che precipita, per una piccola smagliatura nella rete dei suoi controlli comportamentali, in un terribile gorgo di delitti e ricatti fino al tentato suicidio. Un impeccabile Edward G. Robinson e una perfetta Joan Bennet sono gli interpreti pricipali, diretti dal regista con compiuta maestria.
Rompendo il sottile diaframma che separa l’innocenza dalla colpa, Lang bersaglia e turba l’inconscio dello spettatore che, tra suspense e casualità, viene cattuato dalla implacabile concatenazione degli eventi, avverte di correre o avere già corso gli stessi rischi del protagonista e, prendendo contatto coi suoi desideri repressi e le sue paure di punizione, si ritrova angosciato e colpevole. Sono i vissuti psicopatologici che caratterizzeranno trionfalmente la produzione di Hitchcock.
Con gentilezza, Lang alleggerisce la situazione introducendo la dimensione onirica che gli permette di creare anche un piccolo capolavoro formale: l’inquadratura del protagonista vicino al trapasso suicidale che si trasforma in quella in cui egli viene svegliato dal valletto del club. L’io si ridesta e riprende il controllo della situazione, tanto che, nella piccola catarsi finale, è concesso perfino un tocco di comicità.