domenica 17 maggio 2009

Roma barocca#7/Borromini o della perfezione

(foto RV)

La galleria prospettica, cortile di Palazzo Spada, realizzata da Francesco Borromini nel 1652-53. In soli 9 metri, attraverso il pavimento in salita, la volta in discesa, le pareti convergenti, le colonne di dimensioni decrescenti, viene prodotto un meraviglioso effetto di profondità illusiva in cui “nell’altrui inganno trionfa la forza dell’artificiosa rappresentazione” (Pietro da Cortona): un miracolo di perfezione architettonica e un’immagine di Totalità (junghiana)!

giovedì 14 maggio 2009

Shermaglie#7/Inizio d'estate

Non mi riferisco all’inizio d’estate che stiamo vivendo in questi giorni, ma al film di Yasujiro Ozu, che ha per titolo Bakushu (più letteralmente, “Tempo della raccolta dell’orzo/grano, all’inizio dell’estate”). È uno dei più belli di Ozu, centrato sulla storia delle preocupazioni familiari per una figlia in età da marito, tema ricorrente nei film del Maestro giapponese. Ma la storia è solo un pretesto per la sofferta contrapposizione tra modernità e tradizione nel Giappone del dopoguerra e, ampliando ancora lo sguardo, per presentarci una commossa visione del lento fluire delle cose, l’impermanenza e lo svanire di tutto. “Mu” (nulla) è scritto sulla tomba di Ozu e i suoi film esprimono alla perfezione la poetica del “mono no aware” (il pianto delle cose). In una visione calma e distanziata la realtà è vista nel suo fluire e quello che resta immobile è la rappresentazione, la forma nella quale il cambiamento si produce, il consapevole sguardo unificante in cui bene e male tendono a fondersi. Potremmo parlare di un “effetto cornice” all’interno della quale si vede il passare del tempo e degli eventi inevitabili, delle separazioni all’interno della famiglia, luogo elettivo di rinunce e distacchi: la fotografia che viene ripresa prima della dispora della famiglia Mamiya diviene il simbolo di questa eternità del racconto dell’impermanenza. Non c’è depressione, ma la malinconia e anche il pianto di questi martiri del quotidiano, che assistono con dignitosa umiltà al manifestarsi dello shikata-ga-nai: l’ineluttabile.Tra le immagini ricorrenti nei film di film di Ozu (biancheria, ciminiere, tazze...) ci sono sempre treni (come ha ben visto e mostrato il regista taiwanese Hsiao-Hsien, autore del Café Lumière, film da lui realizzato in omaggio a Ozu, v. qui in data 19 settembre 2008), perché il treno è il vicino simbolo dell’altrove, del luogo ideale da cui può venire uno sguardo “altro” sulla realtà.

Ozu si definiva “venditore di tofu”: esprimeva così l’umiltà di chi sa elevarsi all’altezza del proprio destino.
[Il film prende come scenario significativo l’atmosfera naturale e religiosa di Kamakura (che ospita la statua del grande Buddha Amida), da lui amata e dove aveva comprato una casetta. A Kamakura (a Kita-Kamakura, Kamakura-Nord) risiedeva e scriveva D. Suzuki, l’autore dei tanti libri che ci hanno rivelato il buddhismo giapponese]
(Kamakura: proporzioni
e umiltà; foto RV, autoscatto)


martedì 12 maggio 2009

Unde mala?

Fin dall’antichità classica era parsa evidente la difficoltà di conciliare la presenza del male nel mondo con l’idea di una divinità buona e onnipotente. Nel suo famoso tetralemma Epicuro osservava: “La divinità o vuole abolire il male e non può; o può e non vuole; o non vuole né può; o vuole e può. Se vuole e non può, bisogna ammettere che sia impotente, il che è in contrasto con la nozione di divinità; se può e non vuole, che sia malvagia, il che è ugualmente estraneo all'essenza divina; se non vuole e non può, che sia insieme impotente e malvagia; se poi vuole e può, sola cosa conveniente allla sua essenza, donde provengono i mali e perché non li abolisce?”

Gli interrogativi di Epicuro, ripresi da Pierre Bayle (1647-1706), provocarono la “risposta” di Leibniz, che introdusse il termine teodicea per la sua tesi giustificazionista di Dio di fronte al male. Tale teoria fu avversata da Voltaire e confutata da Kant. Il tremendo terremoto di Lisbona del 1756 spinse Voltaire a scrivere il Poème sur le désastre de Lisbonne, in cui lucidamente esprime i suoi dubbi sull’organizzazione razionale del mondo. Essendo fortunatamente disponibili in rete sia il testo originale (http://fr.wikisource.org/wiki/Poème_sur_le_désastre_de_Lisbonne) sia una traduzione italiana (http://digilander.libero.it/hyroniche/poema.htm), rimando con piacere ad essi per approfondire la riflessione già qui avviata in data 8 aprile 2009.

Voltaire ne trattò ancora nel suo Dictionnaire philosophique portatif (oltre che nel Candide) e la discussione teologica sul tema continua. Due sole segnalazioni: Forme e figure del male “dopo” la teodicea (Teologia e filosofia, 1995, n. 2) e Cristianesimo senza teodicea?, Stresa, Edizioni rosminiane Sodalitas, 2004.

venerdì 8 maggio 2009

Modi di dire#1/Baciapile

(su richiesta) Pila è la vaschetta per l'acqua benedetta presente nelle chiese. Baciapile è chi, baciando le acquasantiere, vuole ostentare la propria devozione.

mercoledì 6 maggio 2009

Mistica belliana

In un sonetto del 1834 Giuseppe Gioachino Belli ci offriva la sua visione dei "misteri della fede"

Er frutto de la predica

Letto ch’ebbe er Vangelo, in piede in piede/quer bon padre Curato tanto dotto/se piantò cco le chiappe sul paliotto/a spiegà li misteri de la fede./Ce li vortò de sopra e poi de sotto:/ciariccontò la cosa come agnede;/e de bone raggione ce ne diede/piú assai de sei via otto quarantotto./Riccontò ’na carretta de parabbole,/e ce ne fece poi la spiegazzione,/come fa er Casamia doppo le gabbole (1)./Inzomma, da la predica de jeri,/gira che t’ariggira, in concrusione/venissimo a capí che ssò misteri.


(1) cabale dell’astronomo Casamia per il gioco del lotto

martedì 5 maggio 2009

Caraiatidi#10/Nike Coppedè


Sembra spiccare il volo dall’attico della torretta di sinistra dei “Palazzi degli Ambasciatori” (Coppedè), lato via Tagliamento (Roma), la Nike alata, collocata su uno sfondo musivo. Sorregge delle palme con le mani e poggia i piedi su una piccola carena, antistante un sipario di nubi-onde. Più in basso balcone con due puttini e due teste di ariete (foto RV).

lunedì 4 maggio 2009

Il riflesso di scopo

In una relazione al Congresso di pedagogia sperimentale, tenutosi a Pietroburgo nel 1916, Pavlov riferiva che l’analisi dell’attività nervosa degli animali e degli esseri umani lo aveva portato a evidenziare, tra i tanti riflessi, l’esistenza di uno particolare, da lui denominato “riflesso di scopo”, attraverso il quale si esprime “il desiderio di raggiungere un determinato oggetto eccitante”. Secondo Pavlov la più tipica, diffusa, meglio analizzabile forma del riflesso di scopo è rappresentata dal desiderio di collezionare, di riunire gli elementi di un insieme, desiderio che spinge spesso a raccogliere “cose di scaso interesse, senza altro valore che quello di gratificare la tendenza a collezionare”. Tutta la vita consiste nella realizzazione di uno scopo, che dal punto di vita biologico, è — come si sa — nient’altro che la preservazione della vita stessa. Questo “riflesso generale” si articola poi in riflessi particolari, come il riflesso di nutrizione o di individuazione (ricerca degli oggetti). Questo spiega la nostra tendenza a esaminare, osservare, toccare gli oggetti coi quali veniamo in contatto per verificarne la loro adeguatezza ai nostri scopi: “possiamo renderci conto di quanto sia forte ed impellente la nostra tendenza a toccare un oggetto che ci interessa dagli ostacoli, dalle proibizioni, dalle ingiunzioni che sono necessarie per impedire alla gente, anche culturalmente elevata, di toccare la merce esposta nei negozi”. Riflesso di presa, riflesso di nutrizione, riflesso di collezione... sono dunque intimamnte legati. Secondo Pavlov la vita è bella e interessante solo per chi è proteso verso mete desiderabili e il riflesso di scopo è alla base del progresso, del miglioramento e dell’evoluzione culturale. Infatti, “di ogni cosa si può fare collezione, delle cose banali come delle cose importanti: di comodità (il fine delle persone pratiche), come di leggi giuste (l’aspirazione degli statisti), di nozioni ( lo scopo delle persone colte), come di scoperte (i tesori dello scienziato) e di virtù (l’ideale delle persone rette)”. Come tutti gli altri riflessi anche il riflesso di scopo può venire indebolito o estinto (secondo i meccanismi neurofisiologici dell’inibizione), potendosi quindi produrre forme patologiche depressive o anche, in una utilizzazione intenzionale positiva per correggere comportamenti devianti (dipendenze, comportamenti disadattati, etc.). “Se ognuno di noi nel suo intimo avrà cura di questo riflesso come della parte più preziosa del suo essere, se i genitori e gli insegnanti di ogni tipo avranno come problema fondamentale quello di rafforzare e di sviluppare questo riflesso nelle masse che essi possono plasmare, se la nostra società e il nostro Stato daranno la possibilità reale di esercitare questo riflesso, allora noi diverremo ciò che possiamo e dobbiamo essere”. Penso a quante possibilità operative possa offrire questo fondamentale “strumento” nei campi della comunicazione e della pubblicità, nelle relazioni di aiuto a tossicodipendenti e giocatori, soggetti sessualmente disturbati, in pedagogia, etc. Purtroppo, come è accaduto per altre intuizioni pavloviane, il riflesso di scopo non è stato sufficientemente valorizzato e non sono state approfondite le relazioni di esso con fenomeni e meccanismi “analoghi”, descritti da altre correnti psicologiche: tanto per esemplificare, dalla percezione delle forme (Gestalt) alla coazione a ripetere (psicoanalisi), al comportamento intenzionale (Tolman)...