venerdì 29 marzo 2013

Ultimi, penultimi e S. S. Tenerezza


Giovedì 29 papa Francesco, inseguendo gli “ultimi”, secondo il suo programma, si è recato all’Istituto Penale per Minori di Casal del Marmo dove ha celebrato la Messa e compiuto la lavanda dei piedi a 12 giovani detenuti.
Non c’è dubbio che il carcere sia uno degli inferni più emblematicamente duri della nostra società, ma viene una domanda: è il carcere che rende ultimi (e allora porte aperte per tutti) o le azioni (non parlo di "colpe", perché penso bisognerebbe uscire dalla illusoria sequenza libertà-responsabilità-colpa) che hanno portato lì? E le persone derubate, le donne stuprate, coloro ai quali con gli omicidi sono stati sottratti gli esseri amati (per non dire delle vittime cui è stata sottratta la vita) sono soltanto penultimi e quindi non meritevoli di vistosi gesti di tenerezza? Se è il carcere che rende ultimi perché non andare a visitare anche qualche prete pedofilo condannato, qualcuno di quelli sui quali si concentra lo sdegno (non si sa se reale o apparente) di vescovi e cardinali? Sarebbe un bel gesto, visto che ormai si trova anch’egli tra gli ultimi...!
Quel che voglio dire è che anche la tenerezza implica delle scelte, neppure la tenerezza è semplice come i gesti populisti (o papulisti) vorrebbero far credere, mascherando (a beneficio della dea comunicazione!), ma non risolvendo. Anche se si tratta di una minoranza, sento di appartenere alla schiera di quelli che osano pensare sia il complesso a contenere il semplice e non il contrario!

sabato 23 marzo 2013

Roma#17/curiosità borgiane


Papa che va, papa che viene, passiamo dall’aristocrazia teologica di papa Benedetto alla tenerezza trasandata di papa Francesco, e i media seguono mai come ora le vicende della Chiesa.  Tra queste manifestazioni di attenzione, non tutte encomiabili, non si possono non notare i grandi spazi che le TV stanno dedicando alla storia dei Borgia, del papa Alessandro VI e dei suoi figli. Sarà la ricerca di “precedenti” storici alle attuali denunciate “sporcizie” della Curia romana, sarà per una sorta di gossip retrospettivo o per attrazione degli opposti o sottolineatura di differenze, evidentemente ci si era preparati per tempo e ora vengono diffuse sia (Sky) la serie in 12 episodi curata da Tom Fontana, diretta da Metin Huseyin, abbastanza moderata, girata in Cekia, per Canal+ che la sta mandando in onda in Francia, sia (La 7) quella, assai più rozza, in 8 episodi girata in Ungheria, per Showtime, coprodotta da Steven Spielberg, diretta da Neil Jordan, entrambe, per accrescere la confusione, con lo stesso titolo. Più equilibrato e accettabile il documentario su Lucrezia Borgia, andato anche questo su La 7. La gauche francese non manca di manifestare in proposito il suo spirito anticlericale con la irriverente vignetta pubblicata su Le Monde che mostra il papa emerito che “pregusta” la visione della serie su Canal+.

(da Le Monde)

Lasciando agli esperti di comunicazione il giudizio su tutto questo, vorrei parlare di qualche curiosità romana sul tema. Per cominciare, in vicolo del Gallo, a pochi passi da Campo de’ Fiori, l’attento visitatore può osservare ciò che resta della “locanda” della Vacca, una di quelle case di prostituzione “ben frequentate”, gestite dall’intraprendente Vannozza Cattanei, storica compagna di Alessandro VI (Rodrigo Borgia, divenuto papa nel 1492) e madre di quattro dei suoi figli, i più noti: Giovanni o Juan (1474), Cesare (1475), Lucrezia (1479), Goffredo o Jofré (1481). Ciò che resta di questa un tempo famosa locanda è lo stemma, ancora visibile sul muro all’altezza del civico n. 13, che Vannozza aveva composto con una certa disinvoltura, combinando lo stemma dei Borgia (un toro) con quelli di due dei vari mariti che ebbe, mariti di copertura (soprattutto delle gravidanze “irregolari”) come usava il (mal)costume del tempo. 

(foto RV)
(foto RV)

Vannozza Cattanei morì nel 1518, fu sepolta in S. Maria del Popolo, ove riposava anche il figlio Juan, ma la sua tomba fu devastata durante il “sacco di Roma” del 1527 e quel che resta della sua tomba è una lapide, sfregiata, spezzata e ricomposta, che ora il solito visitatore attento può vedere nell’atrio della Basilica di S. Marco (piazza Venezia). Ignoro (e non mi spiacebbe conoscere) le ragioni per le quali si trova lì.

(foto RV)

Seguendo le consuetudini rinascimentali, Alessandro VI non fu tanto diverso da altri papi quanto a figli, nepotismo, simonia, affari (“A Roma Dio non è trino, ma quattrino”, si diceva) e, dopo Vannozza, ebbe per alcuni anni come compagna “ufficiale” la giovane Giulia Farnese (1474-1524, conosciuta dal papa quando ella aveva 15 anni), per il suo fascino detta Giulia “la bella”, sposa (al solito) di Orsino Orsini, madre (1492) di una bambina di nome Laura, della quale non è certo se il padre fosse lo stesso papa Borgia. Giulia, per la sua particolare “posizione” di “favorita” papale, era ironicamente detta “concubina papae” o “sponsa Christi” e il fratello Alessandro (1468-1549) fu fatto cardinale da Alessandro VI nel 1493. Dice tutto sulle maldicenze che accompagnarono la sua nomina e la sua posizione di porporato il modo in cui, nella colorita lingua di Pasquino, la più nota delle “statue parlanti” romane (che il papa Alessandro voleva distruggere e gettare nel Tevere), era soprannominato: “cardinal gonnella” o, peggio, deformandone il cognome Farnese, “cardinal fregnese”. Come papa (1534-49), benché continuasse nella pratica del nepotismo e degli amori senili (Margherita d’Austria ?), Paolo III fu impegnato nella reazione al protestantesimo, creò il Sant’Uffizio, approvò la costituzione della Compagnia di Gesù, convocò il Concilio di Trento. Mecenate, dette grande impulso all’edilizia romana e commissionò la costruzione del famoso palazzo Farnese a Roma (sotto la direzione di Antonio da Sangallo, Michelangelo, Vignola, Giacomo della Porta), che non fu però da lui abitato perché completato solo nel 1589, molto dopo la sua morte. Tornando alle curiosità romane, ricordiamo che il suo monumento funebre, collocato nella basilica di S. Pietro, è opera di Guglielmo Della Porta. Sotto la imponente statua bronzea del papa, il sarcofago è arricchito da due figure femminili adagiate, raffiguranti a sn la Giustizia, a dx la Prudenza, modellate rispettivamente sulla sorella Giulia e sulla madre Giovannella Caetani. Anche come statua, la bellezza di Giulia doveva essere ritenuta così conturbante da venire successivamente “rivestita” e, fatto ancora più paradossale, è tuttora vietato al pubblico avvicinarsi alla tomba di Paolo III, data la particolare collocazione absidale (?!?). 

(foto dalla rete)


 (foto arte.tv)


martedì 12 marzo 2013

Modi di dire#17/Persona incinta



Ci sono nodi obiettivamente difficili che la nostra cultura ha difficoltà ad affrontare e sciogliere, e che evidenziano problematiche molto complesse. Due esempi: una sempre più manifesta fobia della differenza sentita come lesiva dell'eguaglianza e l'incapacità di definire un accettabile confine tra natura e cultura. Che si fa? Poiché il linguaggio serve molto spesso (alcuni direbbero prevalentemente o sempre) per nascondere, si ricorre, tanto per mettere "una pezza", a espressioni, dette "politicamente corrette", che a volte (visto che imperano il diversamente abili, diversamente giovani, in attesa del diversamente zombie e di un auspicato diversamente diversi) verrebbe voglia di chiamare diversamente sciocche. 
Ed ecco l'ultima, presa da Il Foglio quotidiano del 9 marzo.
La notizia arriva dalla Svezia. Recentemente abolita la legge che imponeva la sterilizzazione per il transessuali, succede ora che è stata presentata una proposta per modificare un’altra legge. In pratica si vorrebbe sostituire alla dizione “donna incinta” – la più ovvia delle banalità visto che, fino a prova contraria, soltanto le donne possono rimanere incinte – la nuova definizione considerata più politicamente corretta di “persona incinta”. Il dubbio linguistico, a chi ha presentato la proposta di legge al Parlamento svedese, è venuto pensando a quei transessuali che da donne sono diventati uomini a tutti gli effetti, quindi anche per l’anagrafe. Chi di loro ha mantenuto la possibilità di procreare, nel giorno in cui dovesse aspettare un bambino, come dovrebbe essere chiamato? Non certo “donna incinta”. Ma nemmeno “uomo incinto”. Di qui l’empasse, che potrebbe rendere obbligatorio esprimersi con il neutro, “persona”.
La proposta di legge svedese è l’ennesima prova di come l’illusione di sovrapporre l’arbitrio del linguaggio e del politicamente corretto alla realtà dei fatti finisca per partorire (è il caso di dirlo) vere mostruosità logiche e linguistiche, prima ancora che giuridiche. Ogni volta che si fa appello all’ideologia del gender – quella per la quale il sesso di una persona è una pura costruzione culturale senza alcun ancoraggio alla carne e alla realtà, cioè alla vita per quel che è  – bisognerebbe ricordarsi che si rischia di  consegnarsi mani e piedi al ridicolo. Quel ridicolo che, in certi casi, è il peggior peccato del mondo. 


E come fare, leggendo certe notizie, a non pensare a quella famosa scena del “Caimano” di Nanni Moretti, quando Bruno Bonomo, interpretato da Silvio Orlando, incontra la giovane coppia di lesbiche che parlano la lingua adattata all’epoca dei nuovi diritti. Una lingua che lui non conosce, e lo ammette, sbottando: “No per favore, queste cose non le capisco”.