lunedì 4 novembre 2013

Sul "caso Cancellieri"

Non eadem est aetas, non mens/L’età non è più quella, e l’animo neppure

Il 12 dicembre 1958, ormai bollato da una certa cultura come anticomunista per via del suo libro L’Uomo in rivolta e addirittura come colonialista, in un dibattito all’Università di Stoccolma successivo alla consegna del premio Nobel, Albert Camus venne aggredito verbalmente da uno studente algerino, mostrando come venisse dimenticato tutto il passato di militante anticolonialista dello scrittore. Nel rispondergli, egli pronunciò alcune parole: «Ho sempre condannato il terrore, devo anche condannare un terrorismo  che si esercita ciecamente nelle vie di Algeri, per esempio, e che un giorno può colpire mia madre o la mia famiglia. Credo nella giustizia, ma difenderò mia madre prima della giustizia». Questa frase mi è tornata in mente in occasione del “caso Cancellieri”, e di altre situazioni simili che si determinano quando si realizza un conflitto tra le leggi e i possibili interventi fatti per umanizzarle, cercando di correggere le ingiustizie della vita, delle istituzioni, delle organizzazioni. Questo suscita immancabilmente comprensibili reazioni (ma «Chi è senza peccato...) di fronte a quelli che vengono considerati possibili abusi di potere, fingendo di ignorare tutte le soperchierie, sia quelle consolidate nel tempo sia quelle sempre nuove, invenzioni creative della burocrazia o dei gruppi politici, che si presentano nelle strutture che dovrebbero essere al servizio del cittadino, mentre è questo che si ritrova spesso al servizio delle organizzazioni. Pensare come già raggiunta la perfezione organizzativa abbiamo visto essere una menzogna, come quelle che davano realizzato “per decreto” il  paradiso in terra, in Urss nel 1936, e in altri regimi totalitari, mentre dobbiamo essere consapevoli che il mondo rimane inesorabilmente ingiusto nonostante tutti gli umani tentativi di correzione. Perché non ricordare, ad es., i rimproveri che la chiesa ortodossa indirizzava all’utopismo umanitario di Tolstoj che avrebbe reso superfluo il ritorno di Cristo e l’affermarsi del suo Regno?

Dunque, se occorre fare sempre e dovunque tutto il possibile per abbattere gli ostacoli alla fruizione democratica di beni e servizi, e una volta accertato che gli interventi “correttivi” non siano tali da generare nuove forme di sopraffazione e ingiustizia, non si può, in nome di uno statalismo astratto e dogmatico, condannare tutte quelle azioni che — fatte per amicizia, compassione, generosità — cercano di correggere insufficienze e moderare la durezza indifferente del potere delle amministrazioni. Il fatto stesso che chi condanna tali interventi ne richieda la “generalizzazione” è poi un’affermazione indiretta della loro necessità, che una organizzazione “perfetta” (non umana!) non dovrebbe richiedere.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Non so, caro Riccardo, se il mondo sia, come tu scrivi, inesorabilmente ingiusto. So che sto leggendo “Gli dei hanno sete”, testo che ben conosci e so che apprezzi, e tra quelle righe – apparentemente così lontane da questo presente, da questa nostra attuale condizione e contesto – sto ritrovando il medesimo clima da “caccia alla streghe” che a me sembra di respirare oggi. Eccesso di populismo? Deriva del populismo? O lotta legittima contro le iniquità? Il problema (o forse il rischio) è esattamente dove lo poni tu: che qualsiasi azione tesa a “raddrizzare” una distorsione possa tramutarsi in una distorsione a sua volta. Illecito (legittimato anche da una opinione pubblica supina) per correggere illecito. Con tanti saluti e baci alla Giustizia, all’equità, o, molto semplicemente, al raziocinio. E’ la mia educazione che non mi consente di sentirmi a mio agio (ed uso appositamente un eufemismo) in questa (nuova) epoca di epurazioni di massa?

Alessandra

Riccardo ha detto...

Sì, vediamo che il mondo è pieno di iniquità (non solo di queste, fortunatamente): biologiche, sociali, organizzative, pieno di dolori innocenti (e quali non lo lo sono?). A noi il compito di correggere queste storture, sapendo la limitatezza della nostra opera. Ho il grande rammarico di constatare che la spiritualità orientale non si è impegnata (salvo qualche esempio giapponese, che a volte direi "involontario") a costruire un'ipotesi di società basata su finitezza e impertinenza. Un altro arduo compito?
Ri