venerdì 15 novembre 2013

"Clima avvelenato e destabilizzante"

Non eadem est aetas, non mens/L’età non è più quella, e l’animo neppure

Nell’incontro al Quirinale con papa Francesco, il presidente Napolitano ha detto: L’Italia vive una «faticosa quotidianità, dominata dalla tumultuosa pressione e dalla gravità dei problemi del paese e stravolta da esasperazioni di parte in un clima avvelenato e destabilizzante». E «quanto siamo lontani nel nostro Paese da quella cultura dell’incontro che Ella ama evocare, da quella Sua invocazione: “dialogo, dialogo, dialogo!”». Parole dure e vere, che tuttavia potrebbero rivelarsi solo di inefficaci indignazione e rammarico per lo stato presente delle cose se si restringessero a vedere in quell’evento o in quel personaggio la causa di tali mali e a scorgere in altro evento o in altro personaggio la via di uscita e di salvezza.
La diagnosi dei nostri mali nazionali è, infatti, antica, profonda la malattia, difficile la cura. Come non andare a quel che Giacomo Leopardi (lui che nel carme All’Italia, 1818, aveva già liricamente detto «O Patria mia, vedo le mura e gli archi e le colonne e i simulacri e l’erme torri degli avi nostri, ma la gloria non vedo...»), in una pausa della composizione delle Operette morali, nel 1824 abbozzava nel suo Discorso sopra lo stato presente del costume degli italiani? (il testo in G. Leopardi, Poesie e prose, vol. II, Milano, Mondadori, 1988).
Il Poeta vedeva nei Lumi e nella modernità postrivoluzionaria la causa della perdita delle «grandi illusioni dell’antichità» e della disillusione degli uomini sulle regole morali, con la nascita conseguente di cinismo e indifferenza, senza capacità di fornire nuove “illusioni” in grado di sostenere i vincoli sociali. Ma se questo ha colpito l’Europa nella sua generalità perché è risultato così particolarmente dannoso per un Paese come l’Italia? L’analisi non è facile e Leopardi individuava alcune cause o condizioni nella mancanza di un centro, di una «letteratura veramente nazionale moderna», di una società stretta (élite) che possa dettare regole e suscitare un consenso mimetico. Se nella Francia moderna, ad es., può essere sufficiente per avere un comportamento corretto il rispetto del bon ton, una sorta di estetica morale che tenga lontani da comportamenti immorali avvertiti almeno come “ineleganti”,  in Italia non «avendovi buon tuono, non possono avervi convenienze di società (bienséances)». Assente l’arte della conversazione riflessiva sui problemi e l’intimità che essa genera e presuppone (v. Benedetta Craveri, La civiltà della conversazione, Milano, Adelphi, 2001), favoriti dal clima, gli italiani, secondo il Poeta, vivono molto all’aperto, spinti «all’assoluto divertimento, scompagnato da ogni fatica dell’animo, e alla negligenza e pigrizia […] non amano la vita domestica, né gustano la conversazione o certo non l’hanno. Essi dunque passeggiano , vanno agli spettacoli e divertimenti, alla messa e alla predica, alle feste sacre e profane», dettate solo dal calendario.
Cinismo, «per tutto si ride, e questa è la principale occupazione delle conversazioni [… tutti] occupati a deridersi in faccia gli uni e gli altri, e darsi continui segni di scambievole disprezzo. […], a pungersi fino a sangue. Come altrove è il maggior pregio il rispettar gli altri, il rispettare il loro amor proprio […] così in Italia la principale, la più necessaria dote di chi vuol conversare, è il mostrare colle parole e coi modi ogni sorta di disprezzo verso altrui, l’offendere quanto più si possa il loro amor proprio, il lasciarli più che sia possibile mal soddisfatti di sé stessi e per conseguenza di voi».

Basta così. Il male è antico, la vita degli italiani appariva a Leopardi «senza prospettiva di miglior sorte futura, senza occupazione, senza scopo e ristretta al solo presente» e a quasi due secoli da queste riflessioni (dimenticate?) non sembra ancora esserci in giro un po’ di consapevolezza di quanto difficile sia modificare il nostro “carattere nazionale” e di quali strade siano da percorrere, mettendosi prima di tutto alle spalle proprio quel cinismo, disprezzo, irrisione che ci accompagnano quotidianamente, alimentando quel «clima avvelenato e destabilizzante» di cui ha parlato Giorgio Napolitano.

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