Non eadem est aetas, non mens/L’età non è più quella, e l’animo neppure
Umberto Curi, filosofo attento al
corretto uso delle parole, a proposito di tradizione sottolinea, in una sua
nota, che “tradizione”, dal lat. traditio -onis, der. di tràdere (trans,
oltre + dere o dare) significa propriamente consegna, trasmissione: «non si tratta
perciò di un termine che si riferisca a una realtà staticamente intesa, ma
piuttosto a una dinamica di trasferimento nella quale non è necessariamente specificato
quale sia il contenuto che “passa”. A rigore, dunque, il termine non potrebbe
essere impiegato in forma assoluta, ma sempre e soltanto in rapporto a qualcosa
che va precisato con chiarezza. Si dovrebbe perciò parlare della tradizione
culturale, religiosa, giuridica, politica, sportiva, eccetera, indicando dunque
quale sia il “tràdito”, e cioè che cosa venga specificamente trasmesso».
Tuttavia, nel corso del tempo la tradizione è stata identificata «con un
patrimonio di conoscenze, costumi, regole e usanze invarianti, in quanto tale
contrapposta al carattere cangiante, mutevole ed effimero del “nuovo”» e nel
linguaggio politico le forze che si richiamano alla tradizione agiscono come
forze conservatrici, contrarie all’innovazione,
per cui «essere dalla parte della tradizione equivale a condividere
un’impostazione che ritrova nel passato un insieme di valori e idealità
positive che occorrerebbe riprendere e rilanciare».
Va osservato che il pensiero che si
definisce “tradizionale”, e usa quindi il termine in una accezione che Curi
critica e ritiene non corretto o impreciso, ha una sua storia e densità molto
complessa, riferendosi (v. René Guenon) a quella conoscenza primordiale alla
quale è necessario riallacciarsi per avere nozione dell’Essere. In questo solco
si pone la riflessione filosofica di Elémire Zolla che, nel suo imprescindibile
libro Che cos’è la tradizione, spiega
come «Tradizione
è ciò che si trasmette, specie di progenie in progenie, quanto a dire la radice
di quasi ogni stato o atto umano, vivi essendo piuttosto i morti che non coloro
nei quali scorre il loro sangue, facilmente illusi di inventare ciò che è pura
reviviscenza, di creare discorsi che commuovono con l’apparenza della novità
nella misura in cui è obliata l’arcaica voce che ebbe già a pronunciarli in
antico. […] Tradizione è la trasmissione dell’idea dell’essere nella sua
perfezione massima, dunque di una gerarchia tra gli esseri relativi e storici
fondata sul loro grado di distanza da quel punto o unità. Essa è talvolta
trasmessa non da uomo a uomo, bensì dall’alto, è una teofania. Essa si concreta
in una serie di mezzi: sacramenti, simboli, riti, definizioni discorsive il cui
fine è di sviluppare nell’uomo quella parte o facoltà o potenza o vocazione che
si voglia dire, la quale pone in contatto con il massimo di essere che gli sia
consentito, ponendo in cima alla sua costituzione corporea o psichica lo
spirito o intuizione intellettuale».
La distanza tra le diverse
accezioni è grande e, lasciando aperto lo spazio a ulteriori riflessioni,
veniamo a situazioni più prossime al nostro quotidiano eloquio. Qui, precisa il
dizionario della Treccani, «tradizione è la trasmissione nel tempo, da una
generazione a quelle successive, di memorie, notizie, testimonianze; anche le
memorie così conservate […]: trasmissione nel tempo, di generazione in
generazione, di consuetudini, usi e costumi, modelli e norme; anche le
consuetudini, gli usi e i costumi, ecc. così trasmessi e costituitisi». E
ricordiamo quei termini appartenenti alla stessa famiglia linguistica che sono “tradimento”,
il venire meno a un dovere o a un impegno morale o giuridico di fedeltà e di
lealtà (consistente in un “passaggio” materiale o immateriale fatto con inganno
e/o venendo meno agli impegni assunti: come fecero Giuda che tradidit eum; o quegli ecclesiastici che,
sotto le persecuzioni di Diocleziano, consegnarono alle autorità testi sacri) e
“traduzione”, l’operazione di trasferimento da una lingua in un’altra di un
testo scritto o orale, legati, questi due termini, anche strettamente tra loro,
come si evidenzia tutte le volte che si afferma che una traduzione ha tradito
l’originale o che è “brutta e fedele” o “bella e infedele”.
4 commenti:
Salve,
considerando il termine Tradizione come "trasmissione dell'idea dell'essere nella sua perfezione massima". E' più corretto dire ad esempio: "la mia visione è influenzata da un punto divista eccessivamente 'tradizionalista'",oppure in questo caso è più corretto usare il termine 'tradizionale'.
Complimenti per il suo Blog
Ennio, temo che "per un punto" tu abbia perso la cappa.
Prova a riformulare la domanda con il punto interrogativo finale. Qualcosa mi dice che in questo modo otterrai la risposta che desideri.
http://ilblogdiriccardoventurini.blogspot.it/2010/04/modi-di-dire3per-un-punto-martin-perse.html
Amico mio, è per ben due (2) punti che il Nostro ha perso la cappa. L'ultimo punto, quello interrogativo, sicuramente manca. Ma cosa dire del primo punto, quello dopo "perfezione massima", che impertinente apppare lì dove si sarebbe potuta mettere, nel caso, una virgola?
E voi, severi e puntigliosi censori, non avreste dovuto forse essere più attenti, prima di sentenziare? Una correzione incompleta non suona forse peggiore di un errore?
Medice cura...
Salve,
considerando il termine Tradizione come "trasmissione dell'idea dell'essere nella sua perfezione massima", è più corretto dire ad esempio: "la mia visione è influenzata da un punto divista eccessivamente 'tradizionalista'",oppure in questo caso è più corretto usare il termine 'tradizionale'?
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