domenica 25 gennaio 2009

Karma, rinascita, etc.

Ereditati dall’India prebuddhista, i concetti di karma, di reincarnazione/rinascita e di liberazione finale dal ciclo delle esistenze risultano in palese contrasto con l’essenza della dottrina buddhista dell’anatta o non-ego. La nuova visione del Nirvana, considerato identico al samsara e non meta da raggiungere in un futuro più o meno lontano, comporta che la liberazione dal ciclo delle rinascite sia realizzata non attraverso una mortificante e progressiva uscita dal mondo, ma con la consapevolezza dell’anatta che porta a insignificanza la concezione stessa della rinascita.

Il karma, come legge di causa-effetto, non può essere presentato né come affermazione di un assoluto determinismo né di assoluta autonomia (entrambi privi di fondamento) e deve lasciare il posto a una visione della condotta come soggetta a cause e condizioni che descrivono la “situazione” concreta del comportamento: di fronte a due indecidibili (determinismo e libero arbitrio), vengono a convivere due paradigmi, non necessariamente in opposizione tra loro, ciascuno risultando utile anche se non esaustivo (come, ad es., in fisica, la descrizione della luce che utilizza sia la teoria ondulatoria che la teoria corpuscolare), per cui, da un lato, psicologia e sociologia continueranno a indagare il comportamento ricercandone le “cause”, mentre l’etica e la pedagogia, dall’altro, non potranno rinunciare a fare appello a libertà e responsabilità.

L’esigenza di assicurare una continuità tra i fenomeni e quella, etica, di non lasciare senza alcuna sanzione le “azioni malvage” ha condotto a una concezione non priva di ambiguità (“prendere forma in una nuova nascita” pur senza passaggio “da un’esistenza all’altra”, Milindapañha), esposta utilizzando analogie, a volte fuorvianti (analogia della lampada che viene accesa attraverso la fiamma di un’altra lampada), e basata sulla teoria degli “aggregati” (skandha), oggi poco proponibile.

In definitiva, quello della rinascita/trasmigrazione/reincarnazione (fuori o dentro il buddhismo) appare un problema mal posto, basato su un errore linguistico, che ha scambiato il verbo (che indica una funzione) col sostantivo (che indica una cosa), errore da non sottovalutare se, come ricordava Montaigne, “la maggior parte delle occasioni degli sconvolgimenti del mondo sono grammaticali”. In altre parole, come risponderemmo se ci domandassimo: dove va il camminare quando non ci saranno più le gambe?  E ancora: una candela accesa produce fiamma e luce, ma quando la candela si è consumata e spenta quale senso potrebbe avere andare a cercare dov’è andata a finire la luce? Il messaggio contenuto nella dottrina dell’assenza di esistenza inerente dei fenomeni (e quindi del soggetto) si configura pertanto come una definitiva liberazione dal ciclo delle rinascite, avendo eliminato ogni residuo sostanzialistico, rendendo anche il dolore impermanente.

L’idea di rinascita ha tuttavia svolto e continua a svolgere, ove accettata, varie funzioni, quali:

·       incoraggiamento: date le difficoltà che si incontrano nel cammino per giungere alla piena realizzazione in questa vita (se, come si dice, praticando il Dharma per mille vite virtuose si potrà acquisire un merito pari soltanto a un capello del Buddha), offre la speranza di riuscita nelle vite future;

·       retribuzione: fa vedere le sofferenze come meritate (rispetto al passato) e quindi utili per pagare il debito karmico, risolvendo una equazione rimasta senza soluzione durante una sola esistenza (l’etica retributiva come visione consolatoria di fronte alla sofferenza non redenta);

·       controllo sociale: il sistema di premi e punizioni svolge una funzione analoga a quella svolta dal dispositivo inferno-paradiso nelle religioni monoteistiche;

·       assicurazione di una successione non conflittuale nelle gerarchie monastico-politiche, stabilendo un lignaggio carismatico con funzione analoga alla trasmissione ereditaria o adottiva (v., in praticolare, nel buddhismo tibetano il carisma accordato ai tulku o reincarnati, considerati eccellenze, preziosità o rimpoche, attribuendo loro una motivazione alla rinascita basata non sul completamento del percoso di purificazione, ma sulla compassione da esercitare guidando gli esseri senzienti verso l’illuminazione).

Abbandonate sia l’idea del ciclo delle esistenze che quella di un’etica retributiva, resta tuttavia il problema di una riformulazione di criteri e modalità dell’educazione morale e del controllo sociale (ad es., secondo il modello della solidarietà autorealizzativa e del “pagamento del debito”).

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