martedì 10 febbraio 2015

Cascami baumaniani

Da quando Zygmunt Bauman ha impiegato con successo la metafora della “liquidità” utilizzandola nelle sue analisi di vari aspetti della cultura in cui viviamo (da cui espressioni come modernità liquida, vita liquida, relazioni liquide...), gli editori (non diamo la “colpa” all’autore...) non esitano a pubblicare tutto quanto porti la sua firma, incuranti del valore del testo.
È il caso di Conversazioni  su Dio e l’uomo, tr. it. Roma-Bari, Laterza, 2014, in cui il sociologo dialoga con Stanislaw Obirex, teologo ed ex-gesuita. Tenendosi in una postura ambigua nei confronti del sacro e della Totalità («oggi me ne sto all’esterno, ma osservo con enorme curiosità quello che accade nel mondo della religione, specialmente come essa agisce nella sfera pubblica») i due discutono dei danni prodotti dal monoteismo, con una certa nostalgia di un più tollerante (ipotetico) politeismo. Non sarebbe stato il caso di esaminare anche una “religione” come il buddhismo, lontano sia dal mono- che dal poli-teismo? Non viene sollevato nessun lembo del mistero dell’esistenza (l’uomo ha guastato il mondo o ha il compito di riparare il mondo guasto? È socio o antagonista del creatore?), si criticano fondamentalismi e appartenenze rimanendo sul generico, si auspica un ripensamento della storia e, in particolare, della storia delle religioni: prego, fate pure, signori, aspetteremo i risultati.
Le cose non vanno meglio con Le sorgenti del male, tr. it. Trento, Edizioni Erikson, 2013 (il titolo originale era nientemeno A natural Histoty of Evil, 2011), in cui per indagare sull’unde malum, dopo aver criticato alcune delle più note teorizzazioni del Novecento, vengono usate un po’ di banalità psicologiche. Nessun pregio? Viene almeno ricordato il libro di Anatole France, Gli dèi hanno sete, opera ingiustamente dimenticata.

In conclusione, soldi e tempo buttati.

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