giovedì 6 marzo 2014

Schermaglie#35/Vous n’avez encore rien vu

Il titolo, nella sua enigmaticità, viene da lontano ed è una frase molto usata — con varianti — dal regista (scomparso giorni fa): egli la ripete ai produttori curioso di vedere il film quando questo non è ancora montato e finito; la diceva il protagonista «Non hai visto niente a Hiroshima» in Hiroshima, mon amour; è una forma di omaggio all’amato Al Jolson che  cantava nel primo film sonoro della storia del cinema la canzone Vous n’avez encore rien entendu; è infine un modo di stupirci, nel senso che ogni film vuole essere qualcosa di assolutamente nuovo...
Cosa c’è di “nuovo” in questo Vous n’avez encore rien vu? Resnais ci racconta che Antoine d’Anthac, uomo di teatro fa telefonare da un notaio agli attori (tutta la “famiglia” cara a Resnais: Sabine Azéma, Pierre Arditi, Lambert Wilson...) per dir loro che d’Anthac è morto e che sono invitati nella sua residenza di montagna a visionare una registrazione dell’Euridyce di Jean Anouilh, dramma che tutti, in diverse versioni, hanno recitato. In una pirandelliana contaminazione tra realtà e teatro, vita e “finzione” scenica si sovrappongono e si confondono.
Alla fine, colpo di teatro, Antoine d’Anthac comunica che si è trattato di uno scherzo: lui non è morto e tutti possono far festa, contenti di ritrovarsi insieme. Ma, poco dopo lui morirà davvero e questa volta la “famiglia” si ritroverà al cimitero.
Perché cimentarsi col mito di Orfeo? Come tutti i miti anche questo è polisemico e non è possibile addentrarsi qui nelle diverse versioni e interpretazioni. Tuttavia, è il tema del tempo, sottolineato dal movimento di un pendolo, della sua irreversibilità e della morte l’aspetto sul quale il regista si è più interrogato. Con un altro riferimento mitico, alla storia di Tristano e Isotta, viene sostenuto che l’amore assoluto, e tutti gli assoluti che non possiamo realizzare, si raggiunge solo nella morte. Orfeo voltandosi ribadisce che ciò che è accaduto non si può cancellare: dovrà morire anche lui se vorrà ritrovare Euridice, perché questo non è possibile rimanendo in vita. E, infatti, Orfeo troverà la morte per mano delle donne (Mènadi) irate con lui, per i suoi rifiuti del sesso feminile: con la morte Orfeo «ritrova Euridice e la stringe in un abbraccio appassionato. [...] e, ormai senza paura, si volge a guardare la sua Euridice» (Ovidio). Poesia? Illusione? La morte non risolve, ma dissolve, insieme al soggetto, i problemi e i conflitti, cioè la vita, in cui trovano posto amore e dolore. Il saggio padre di Orfeo (qui Michel Piccoli), cerca di convincere il figlio che la vita sta nell’onesto mangiare e nel fumarsi un buon sigaro (e si intitola Aimer, boire et chanter l’ultimo film di Resnais, del 2014, non ancora uscito), ma Orfeo non ascolta: inseguendo un mondo puro, luminoso e limpido si ostina a cercare ancora l’amata. Come gli dice Monsieur Henri, lui è di quelli che hanno sete di eternità e nostalgia del primo bacio, ma sono spaventati perché sanno che ciò non durerà, perché l’amore finirà, in ogni caso, per esaurimento. Come Euridice è morta e non si può “riconquistare”, così è morto il passato degli attori convocati per la proiezione, così deve morire d’Anthac, che ha convocato gli amici per verificare se gli volevano bene e per valutare se vale ancora cimentarsi con Euridice: e le risposte sono tutt’e due positive. La morte è morte ed è più forte dell’amore; solo per gioco si può risuscitare, ma poi prevale la inesorabilità degli eventi.

Alain Resnais ci dice Vous n’avez encore rien vu: a noi spettatori si richiede uno sforzo di attenzione e di riflessione per non uscire dalla proiezione dovendo confessare di “non aver ancora visto niente”.

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