venerdì 8 ottobre 2010

Plaisanteries, dalla rete#3/Schubert, Sinfonia Incompiuta


CORPORATE MENTALITY AT THE SYMPHONY

A corporation president was given a ticket for a performance of Schubert's Unfinished Symphony.  Since she was unable to go, she passed the ticket on to her first lieutenant.  The next morning the president asked him how he enjoyed it, and instead of receiving a few pleasant observations of the performance, she was handed a memorandum which read as follows:

1.  For a considerable time, the oboe players had nothing to do.  Their number should be reduced and their work spread over the whole orchestra, thus avoiding peaks of inactivity.

2.  All twelve violins were playing identical notes. This seems unnecessary duplication, and the staff of this section should be drastically cut.  If a large volume of sound is really required, this could be obtained through the use of amplification.

3.  Much effort was involved in playing the sixteenth notes.  This seems an excessive refinement, and it is recommended that all notes should be rounded up to the nearest eight note.  If this were done, it would be possible to use paraprofessionals instead of experienced musicians.

4.  No useful purpose is served by repeating with horns the passage that has already been handled by the strings.  If all such redundant passages were eliminated, the concert could be reduced from two hours to twenty minutes.

5.  This symphony had two movements. If Schubert didn't achieve his musical goals by the end of the first movement, then he should have stopped there.  The second movement is unnecessary and should be cut.  In light of the above, one can only conclude that had Schubert given attention to these matters, he probably would have had time to finish the symphony.

3 commenti:

bio ha detto...

Uno spunto di riflessione che più serio non si può in una lettura davvero esilarante!
La percezione della realtà è condizionata dalla nostra mentalità. Una mentalità rigida come quella forgiata da un sistema educativo basato sulla preparazione alla vita economica, sulla conoscenza analitica e avente solo valore strumentale (orientata a uno scopo o a un prodotto), sulla standardizzazione, sulla quantificazione etc. ci impedisce di vivere profondamente le esperienze, in modo che ci trasformino. E' giunta l'ora, credo, di ri-educarci ed educare ad una visione del mondo ECOLOGICA, in cui la dimensione economica sia armonizzata con quella ambientale e sociale, venga rispecchiata la complessità della nostra esistenza di sistemi complessi di secondo ordine (sistemi di cellule) integrati in sistemi complessi di ordine superiore (società) e alla conoscenza venga riconosciuto valore in sé come elemento che nutre il divenire. Con buona pace del nostro ministro dell'economia e di chi come e con lui ci sta aiutando ad andare a rotoli.

Riccardo ha detto...

Sì hai colto bene che, con l’aspetto divertente, la storiella opera un confronto tra paradigmi, ognuno dei quali pretende una sua legittimità. Commentare il tuo commento richiederebbe altri spazi e altro impegno: posso solo fare, “al volo” un paio di osservazioni o sollevare alcuni interrogativi. Guardando le cose un po’ più da lontano, ritengo che la responsabilita non sia dell’economia separata e dei “cattivi” che spingono al guadagno, etc., ma della (discutibile?) scelta che è stata fatta, qualche secolo fa, di affrontare la morte e il dolore attraverso la conoscenza e il saper fare tecnologico. Di fronte a questa scelta, che si è rivelata la più seducente e che ha sancito se non la superiorità almeno la preferibilità dello stile di vita dei Paesi sviluppati (nessuno da questi va verso i Paesi poveri, mentre è ben presente il flusso migratorio in senso inverso, come accadeva, anni fa, nel rapporto Occidente-Paesi socialisti), cosa si può proporre per una risposta non solo tecnologica al disagio che, ovviamente, accompagna lo “sviluppo”? (continua)

Riccardo ha detto...

(Continuo qui, perché, tanto per cambiare, il pezzo era già ritenuto troppo lungo): In una cultura del “disincanto” e della desacralizzazione siamo in grado di individuare qualche Realtà “universale” che gli individui possano sentire come propria e per “alimentare” la quale siano disposti a sacrificare i loro egoismi particolari e gli interessi immediati? Il paradigma ecologioco è capace di presentarsi come qualcosa di diverso da un movimento neoromantico, conservatore o, sia detto in senso buono, reazionario? Si tratta di azionare il famoso freno a mano della locomotiva del progresso o esperire fino in fondo il pardigma dello sviluppo, di cui abbiamo visto solo l’inizio? Dobbiamo fermarci o andare tanto veloci da star fermi perché si è già arrivati? Dobbiamo smettere di divertirci o divertirci tanto da annoiarci? Metterci a dieta o diventare tanto sazi da desiderare di digiunare?