giovedì 6 maggio 2010

S. Alessio e Proust

Giovanni Macchia, parlando di Proust, dice: per Lui “il linguaggio è tutto: crea la vita stessa nel momento in cui la ripensiamo. È la lotta con la sensazione fuggevole, transitoria, per darle attraverso la metafora un suggello d’eternità. È un S. Alessio che prima di morire consegna al rappresentante di una cristianità laica il suo messaggio”.

Perché collegare Proust a questo Santo? La domanda mi ha portato alla Legenda Aurea di Jacopo da Varazze (famosa raccolta di vite di santi; XIII sec.), dove a proposito di S. Alessio leggiamo:

“Si accorse, per rivelazione, che ormai si faceva vicina la fine della vita, e allora chiese carta e inchiostro e scrisse per ordine tutta la sua vita. La domenica dopo la messa si sentì nella chiesa una voce dal cielo che diceva:
– Venite a me, voi tutti che soffrite e siete gravati: io vi rifocillerò. Tutti quelli che udirono la voce, atterriti, caddero proni, ed ecco che la voce parlò di nuovo:
– Cercate l’uomo di Dio, che preghi per Roma. Lo cercarono, ma senza trovarlo, e la voce parlò una terza volta: – Cercatelo nella casa di Eufemiano [il padre, che lo ospitava ignorandone l’identità]. Ma Eufemiano, quando gli fu chiesto, disse di non saperne nulla. Allora gli imperatori Onorio e Arcadio con il papa Innocenzo [Innocenzo I, papa negli anni 401-17] andarono alla casa di Eufemiano, e il servo che si occupava di Alessio andò dal padrone e disse:
– Signore, guarda se non è quel povero forestiero che sta in casa nostra: è un uomo di vita elevata e di gran pazienza. Eufemiano allora corse da Alessio, ma lo trovò morto, con il volto raggiante come quello di un angelo; volle prendere la carta che stringeva in mano, ma non riuscì. Raccontò allora l’accaduto agli imperatori e al papa, e quando questi entrarono nel luogo ove si trovava Alessio dissero:
– Benché noi siamo peccatori, reggiamo tuttavia le sorti del regno, e questi ha nelle sue mani la cura dell’intero gregge. Dacci dunque quella carta, perché possiamo sapere cosa vi è scritto. Il papa si avvicinò e prese la carta dalla sua mano, e Alessio la lasciò prendere facilmente. La fece leggere alla presenza del popolo, d’una gran folla e del padre di Alessio”.

Dunque il Santo, sentendosi vicino al termine della vita, chartam cum atramento petiit et totum ordinem vitae suae ibidem conscripsit. Alcune considerazioni: 1. Siamo di fronte all’esigenza di tentare una riconfigurazione narrativa della vita con l’intento di darle (totum ordinem) unità, coerenza e senso (quel che caratterizza ogni vera bio-grafia); 2. La scrittura non è una forma di autocompiacimento ma è sentita come un dovere; 3. Prendere lo scritto dalle mani del morto non riesce al padre ma riesce invece facilmete al papa: il messaggio non è per tutti, ma richiede delle precondizioni, il destinatario deve essere “qualificato”.

Tornando a Proust e al suo impegno per ritrovare il tempo perduto, esprime bene la sua fatica e la sua “liberazione”, quello che, secondo la testimonianza della governante e confidente Céleste Albaret, ponendo la parola “Fine” al manoscritto della Recherche (1921), scrisse: “Cara Céleste, ora glielo dico. È una grande notizia. Stanotte ho messo la parola ‘fine’... Adesso posso morire”. La vita era stata scritta e questo era la “redenzione”: consegnando il suo messaggio, Proust è un S. Alessio del nostro tempo.

A quanto so, il posto di santo patrono degli scrittori (nonché segretari, dattilografi, informatici) mi risulta già “occupato” da San Cassiano: si potrebbe proporre per S. Alessio quello di protettore degli scrittori impegnati nell’opera ultima!

(Roma, Basilica di S. Clemente, foto dal web)

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