venerdì 27 novembre 2009

Ancora su Don Giovanni

G. Macchia, che Calvino non esitava a definire il nostro maggiore saggista, ha dedicato alla figura di Don Giovanni un prezioso saggio (o, meglio, una serie di saggi), Vita avventura e morte di Don Giovanni, al quale è d’obbligo rinviare quelli che hanno interesse per questo mito letterario-musicale. Ma voglio qui riferirmi a una “fantasia” fatta da A. Camus, nel suo Il mito di Sisifo, sulla fine del personaggio e che — salvo errore — Macchia non considerò. Camus ricorda che tra i vari racconti ci fu anche quello secondo il quale il «vero “Burlador” morì assassinato da alcuni francescani che vollero “por termine agli eccessi e alle empietà di Don Giovanni, cui la nascita asicurava l’impunità”. Essi poi divulgarono che il cielo lo aveva fulminato », per poi presentarci una fine “religiosa” del personaggio, non come conclusione edificante, ma come logica conclusione di una vita interamente penetrata di assurdo. «No, non è sotto una mano di pietra che Don Giovanni è morto.[...] La sera in cui Don Giovanni attendeva in casa di Anna, il commendatore non venne e l’empio dovette provare, dopo la mezzanotte, la terribile amarezza di coloro che hanno avuto ragione».

L’uomo che aveva provocato «un dio che non esiste», si seppellisce quindi in un convento non per cercare rifugio, ma perché il godimento terminasse «in questo caso in ascesi. Bisogna capire che l’uno e l’altra possono essere come due facce di una stessa nudità». Ormai tradito dal proprio corpo, «fa esaurire la commedia in attesa della fine, faccia a faccia con quel dio che non adora e che pure serve come ha servito la vita, inginocchiato davanti al vuoto e con le braccia tese verso un cielo senza eloquenza, che egli riconosce pure senza profondità». Attraverso la feritoia della sua cella vede una silenziosa pianura di Spagna, «terra magnifica e senza anima, nella quale egli si riconosce. Sì. È su questa immagine malinconica e sfavillante che bisogna fermarsi. L’estrema fine, attesa, ma non mai desiderata, l’estrema fine è degna di disprezzo». Come il condannato a morte di Lo straniero, liberato da ogni speranza, poteva aprirsi alla «dolce indifferenza del mondo», anche Don Giovanni può concludere la sua esistenza nella estrema consapevolezza della conciliazione con l’inconciliabile...

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