giovedì 16 luglio 2009

Sul rendere "commestibile"

“Qualunque sia la loro preparazione, i gamberi devono sempre essere ben lavati e privati del loro intestino, la cui estremità si trova al centro della coda: la si afferra con la punta di un piccolo coltello e la si estrae con delicatezza, perché non si spezzi. Questa operazione va compiuta solo nel momento in cui si stanno per cuocere i gamberi”, Auguste Escoffier (1846-1935), Il grande libro della cucina francese, tr. it., Roma, Newton & Compton Editori, 2001. Furio Jesi, studioso di mitologia e germanistica, è partito da questa raccomandazione del sommo cuoco francese per alcune considerazioni di grande capacità penetrativa e applicabili in vari contesti. Costruendo un’analogia tra analisi del mito e preparazione del gambero, egli scriveva: “Aver fame di miti: vuol dire prepararsi a mangiare i miti quando deporranno le loro corazze. Poiché altrimenti sono immangiabili. Si tratta di sgusciare dei gamberi, già bolliti al fuoco della cerca affinché assumessero cuocendo il colore rosso che è l’oggetto vero della nostra fame. Questo colore rosso è il colore di ciò che è morto e, morendo, assume il colore di ciò che è vivo, maturo, piacevolmente commestibile. Lo scopo della moderna scienza del mito o della mitologia, lo scopo dei mitologi moderni, è questo: avere sulla tavola qualcosa di molto appetitoso, che senza esitare si direbbe vivo, ma che è morto e che, quando era vivo, non possedeva un colore così gradevole. Il colore della vita non è una prerogativa molto frequente di ciò che è vivo. Ciò che è vivo non è sovente molto commestibile per noi e il colore della vita è ai nostri occhi il colore di quel che mangiamo con viva soddisfazione” (Materiali mitologici, Torino, Einaudi, 1979). Cosa devono “perdere” il sacro, il corpo, la coscienza... per divenire “commestibili”?

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