mercoledì 8 aprile 2009

Anatomia della dipendenza

In questi giorni di dolore, mi torna in mente il titolo di un libro, scritto anni fa e con diversa finalità, dallo psichiatra giapponese, Takeo Doi, Anatomia della dipendenza. A fronte di tanta retorica sull’armonia con la natura, possiamo osservare quanto siamo dipendenti, dall’ambiente e dagli altri, quanto fragili e costosi siano la costruzione e il mantenimento dei nostri stili di vita, considerati quasi ovvi e conquistati invece con immensi sacrifici, in un percorso di migliaia di anni. Le “mani negative” delle pitture rupestri di trentamila anni fa lanciano la stessa invocazione delle mani dei sepolti sotto le macerie...

Il grande terremoto di Lisbona del 1755 scosse non solo la terra, ma anche le coscienze, stimolando molte riflessioni che fecero vacillare l’ottimismo leibniziano sul migliore dei mondi possibili: Voltaire ne trattò nell’indimenticabile Candide. A noi, anche se non vogliamo pensare, con Schopenhauer, di vivere nel peggiore dei mondi, il compito di riflettere sulla precarietà. Né mi pare molto consolante, di fronte a tanto dolore, pensare che “non esiste alcun bene dal quale non possa sorgere un male, e nessun male dal quale non possa sorgere un bene” (Jung): per ora, l’unico grande bene che si può constatare è quello della partecipazione, della compassione e della pietà.

1 commento:

La Dimensione ha detto...

Approfitto di questo bellissimo articolo per dirle che lei è una delle voci più interessanti, intelligenti e piacevoli che abbia incontrato in rete.

Auguri di Buona Pasqua.

neurobi