mercoledì 14 maggio 2014

Modi di dire (e di pensare)#22/popolo, popolare, populismo...


Come ha già detto qualcuno, parafrasando Marx, uno spettro s’aggira per l’Europa: il “populismo”. Può dunque valer la pena di rifare i conti coi termini popolo, popolare, populismo.
Cosa s’intende, dunque, per popolo? Se cerchiamo una definizione di questo termine/concetto nella “classica” Filosofia del diritto di Giorgio Del Vecchio, troviamo che «per popolo s’intende la moltitudine di persone che compongono uno Stato», con l’avvertenza che «se però oltre tale vincolo, od anche senza di esso, esistono altri vincoli naturali di comunanza, abbiamo la nazione. Tra questi vincoli ci si presenta anzitutto l’origine etnica (per l’etimologia stessa della parola: natio quia nata), indi la coltura, la tradizione storica, il costume, il linguaggio, la religione, ecc.». E la Treccani  chiarisce: «Il complesso degli individui di uno stesso paese che, avendo origine, lingua, tradizioni religiose e culturali, istituti, leggi e ordinamenti comuni, sono costituiti in collettività etnica e nazionale, o formano comunque una nazione (indipendentemente dal fatto che l’unità e l’indipendenza politica siano state realizzate)», per cui, ad es., il popolo italiano esisteva anche prima della realizzata unificazione politica con la costituzione del Regno d’Italia. Non possiamo, a questo punto, non ricordare quel bel passo del De Republica di Cicerone, per il quale la res publica coincide con la res populi, dove  «popolo poi non è qualsivoglia agglomerato d’uomini riunito in qualunque modo, ma una riunione di gente associata per accordo nell’osservare la giustizia e per comunanza d’interessi. La prima causa poi di siffatto riunirsi non è tanto la debolezza, quanto una specie di istinto associativo naturale; l’uman genere non è infatti isolato né vagante nella solitudine, ma generato con carattere tale che, nemmeno in ogni sorta di abbondanza [e facilità di vita l’individuo potrebbe rimanere isolato]» (De Republica, I, 25, ed. it. a cura di L. Ferrero e N. Zorzetti; e v. il bel saggio di Michele Coccia, professore emerito di Letteratura latina nell’Univ. “Sapienza” di Roma, «Aspetti del pensiero politico di Cicerone», in Leussein, III, 2010, 3, p. 21 ss.). Sarà proprio questo “supplemento d’anima”, come direbbe Bergson, a conferire a una moltitudine di individui quell’unità capace di trasformarlo in popolo, per cui si parla anche di “popolo di Dio”, “popolo della notte”, “popolo dei vacanzieri”, etc.
Popolo è anche la parte di una comunità che vive in condizioni disagiate, per cui  popolare è sì “del popolo” come collettività (“volontà popolare”, “partito popolare”), ma più spesso indica ciò che è a vantaggio dei meno abbienti e dotati (“prezzi popolari, “case popolari”). E “nazional-popolare” è l’espressione gramsciana usata per connotare quelle opere o gli usi e costumi che dovrebbero essere rappresentativi di tutto un popolo e contribuire alla coscienza dell’identità nazionale, come, in Italia, potrebbe essere (o era), ad es., il melodramma.
Venendo, infine, a “populismo” con questo termine si intende oggi quella prassi politica in cui un capo carismatico pretende di avere un rapporto diretto con le masse popolari, di cui interpreterebbe le esigenze e le aspirazioni, ritenute demagogicamente e indiscutibilmente positive. È evidente che nell’affermarsi del populismo si esprime la crisi di fiducia nella rappresentanza operata da partiti, sindacati, associazioni, che implica il conseguente rispetto di tempi, mediazioni, controlli. Esplicita o implicita è, pertanto, la contrapposizione che viene a determinarsi tra una presunta purezza popolare e le élite e i parlamenti, non sempre a torto accusati di costituirsi in caste separate e spesso corrotte. Nella crisi della rappresentanza democratica è tuttavia ben evidente il pericolo di aprire, col populismo, la strada a totalitarismi di vario tipo e colore, come il secolo scorso ha ampiamente mostrato e dimostrato. Ma quella di populismo rimane una nozione fluida e polisemica, contorta è la storia dei movimenti così etichettati, incerte le reazioni. Se Flaubert potesse aggiornare il suo Dictionnaire des idées reçues forse scriverebbe: «Populisme: on ne sait pas ce que c'est; tonner contre». Dunque, per saperne di più, può giovare il recente libro di G. Bolaffi e G. Terranova, Marine Le Pen & Co., Firenze, goWare e Firstonline, 2014, ove sono passati in rassegna populisti e neopopulisti, euroscettici, estremisti ultranazionalisti e via enumerando, con utile corredo anche di grafici e illustrazioni.

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