martedì 3 settembre 2013

Nuovi venti di guerra e vecchi interrogativi


Non eadem est aetas, non mens/L’età non è più quella, e l’animo neppure

In questi giorni in cui, ancora una volta, si verificano aggressioni, violazione dei diritti umani, scontri cruenti in cui è difficile distinguere l’attaccante dall’attaccato, si ripropongono gli eterni interrogativi: bisogna intervenire per punire l’aggressore o bisogna non agire, seguendo la via della non-violenza assoluta?
Debbo dire che sono stupito di quanto poco si sia fatto tesoro di quel che è accaduto e di quanto si è elaborato anche solo pochi anni fa e si debba sempre ricominciare da Talete.
Dunque, se cerchiamo di comprendere le ragioni di chi è favorevole e di chi è contrario agli interventi armati “correttivi”, innanzitutto sarà necessario purificare i discorsi dall’atteggiamento del sospetto (le grandi potenze, leggi USA, hanno sempre interessi inconfessati, come conquistare egemonia e materie prime ossia petrolio; i “pacifisti” sono animati da una congenita  e aprioristica ostilità verso l’“impero americano” e i suoi alleati e quando si oppongo alla guerra intendono opporsi alle reazioni a guerre o violenze già effettuate), altrimenti si scade solo in una sterile polemica. Ciò fatto, bisogna tener presente che nell’insegnamento di Buddha o di Gesù l’invito alla pratica della non-violenza è molto esplicito, ma — come attivo partecipante alle attività della Conferenza mondiale delle religioni per la pace — voglio ricordare che anni fa elaborammo con molta chiarezza documenti in cui si esplicitava che la non-violenza si può configurare, nei casi estremi, come consapevole accettazione del martirio. Ma le cose anche così non sono semplici: che fare di fronte al male e alla violenza presenti nel mondo e che non si esercitano solo contro di noi, ma a danno di altri (spesso, per di più, del tutto innocenti)? Se anche fossimo disposti ad accettare il martirio, possiamo considerare ammissibile un atteggiamento che esponga altri a un martirio che non è stato da loro scelto? Ricordiamo che i sutra buddhisti (analogamente ai Vangeli) sono stati composti in tempi e in riferimento a situazioni in cui la dottrina era indirizzata a individui desiderosi di cambiare orientamento di vita nella società in cui vivevano. Successivamente, si presentarono preocupazioni nuove, passando dal livello dell’ascesi individuale a quello delle responsabilità politiche. Ecco che allora affermare, come insegna il buddhismo Mahayana, che il samsara coincide col Nirvana e viceversa, significa assumersi la responsabilità della storia e quindi riconoscere che siamo figli della storia e che il male e il bene sono nella storia mescolati intimamente  tanto da non potersi fare la storia separando l’uno dall’altro. Il simbolo del loto, fiore immacolato ma con le radici nel fango, ci ricorda l’inscindibilità di positivo e negativo, e ci costringe a riconoscere che non tutta la violenza è nella guerra e che non tutto nella guerra è violenza. Molte delle cose che consideriamo progressi civili, riconoscimento dei diritti, affermazioni di giustizia e libertà sociali vengono, purtroppo, da lotte cruente che hanno segnato la nostra storia e ci impongono di non dimenticare tutti coloro che hanno dato la loro vita per difendere e affermare gli spazi di libertà di cui godiamo. Probabilmente, noi stessi non saremmo qui se l’ultima guerra contro il nazifascismo non fosse stata combattuta o fosse stata vinta dalla Germania nazista; non potremmo esprimerci ora in spirito di tolleranza e comprensione senza il martirio dei tanti caduti per difendere la libertà di pensiero né possiamo immaginare quale volto avrebbe quella che chiamiamo Europa cristiana senza Carlo Martello e Orlando e Carlo Magno.
Abbandonata, dunque, l’illusione che la non-azione sia sempre la scelta migliore, qualora l’ingerenza umanitaria dovesse comportare l’uso della forza, l’intervento dovrà essere adeguato al livello del conflitto che si sta affrontando, esercitando una costante vigilanza per far sì che l'intervento non crei più danni di quelli che sono già in atto. Purtroppo, si deve ancora una volta constatare che le Nazioni Unite, embrione di governo mondiale, le uniche che sarebbe legittimate a inerventi di “polizia internazionale” sono quasi sempre paralizzate (ricordate, ad es., il massacro di Srebrenica del 1995 nella ex-Jugoslavia sotto gli occhi dei caschi blu?) e lasciano i “volenterosi” nella difficile responsabilità di scelte, sempre criticabili.
Voglio, infine, ricordare come la Chiesa cattolica, superato il concetto di guerra giusta sia passata a quello di ingerenza umanitaria e dal riconoscimento del diritto all’autodifesa a quello del dovere dell’azione a difesa dell’aggredito. Affermava Giovanni Paolo II: “Difendere chi è perseguitato, chi è attaccato, chi perde tutto, non è altro che un atto di carità. L’ingerenza umanitaria è una cosa evangelica in sé […]. Non si può restare fermi mentre il mio vicino, concittadino o non concittadino, subisce un’aggressione” (1993). E ancora: “Evidentemente, quando le popolazioni civili rischiano di soccombere sotto i colpi di un ingiusto aggressore e a nulla sono valsi gli sforzi della politica e gli strumenti di difesa non violenta, è legittimo e persino doveroso impegnarsi con iniziative concrete per disarmare l’aggressore (XXXIII giornata della pace, 1 gen. 2000).
Sarebbe auspicabile che queste considerazioni fossero presenti anche oggi e il discorso si spostasse dal piano dei princìpi a quello dei mezzi opportuni (dai discorsi ideologici a quelli politici). Ma la Storia, purtroppo, sembra non riuscire a insegnare un granché non solo sui tempi lunghi, ma neppure attraverso gli avvenimenti e le riflessioni di ieri...! 

P.S. Trovo interessante, per arricchire le riflessioni, riportare due brani dell’articolo L’improbabile espulsione di Ernesto Galli Della Loggia, pubblicato sul Corrriere della sera dell’8 settembre, che si discostano dal conformistico coro che ha accompagnato le dichiarazioni di papa Francesco.
«l) L'ostilità di principio alla guerra (fatto salvo, immagino, il caso di una guerra di pura difesa, tuttavia non facilmente definibile: la guerra dichiarata dalla Gran Bretagna e dalla Francia alla Germania nel 1939, per esempio, era di difesa o no?) cancella virtualmente dalla storia la categoria stessa di «nemico» (e quella connessa di «pericolo»). Cioè di un qualche potere che è ragionevole credere intento a volere in vari modi il nostro male; e contro il quale quindi è altrettanto ragionevole cercare di premunirsi (per esempio mantenendo un esercito). Chi oggi dice no alla guerra è davvero convinto che l'Europa e in genere l'Occidente non abbiano più nemici? E se pensa che invece per entrambi di nemici ve ne siano, che cosa suggerisce di fare oltre a essere «contro la guerra»?
3) C'è infine un argomento molto usato per dirsi in generale contro la guerra: «La guerra non ha mai risolto alcun problema». Nella sua perentorietà l'argomento è però palesemente falso. Dipende infatti dalla natura dei problemi: non pochi problemi la guerra li ha risolti eccome (penso a tante guerre per l'indipendenza nazionale, ad esempio); per gli altri bisogna intendersi su che cosa significa «risolvere» (tenendo presente che nella storia è rarissimo che per qualunque genere di questioni vi sia una soluzione definitiva, «per sempre»). Se si parla di un pericolo politico, una «soluzione» può benissimo essere rappresentata dal suo semplice ridimensionamento, dall'allontanamento nel tempo, dalla sostituzione di un nemico più forte con uno meno forte. Tutti obiettivi che un'azione militare è di certo in grado di conseguire.
Insomma: essere in generale a favore della pace è sacrosanto; proporsi invece di espellere la guerra dalla storia è, come si capisce, tutt'un altro discorso».

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