mercoledì 14 agosto 2013

Pensieri di malattia#4


Ho sempre pensato che nelle nostre case piccolo-boghesi di professori, felicità fosse, con le imposte socchiuse a protezione dal calore estivo e con l’accompagnamento del canto delle cicale in lontananza, stare in silenzio a leggere Orazio. Ma anche questa non è una felicità semplice e richiede tante pre-condizioni che avevo sottovalutato.

Ancora sull’alimentazione degli ammalati e degli anziani. Come racconta con tenera amicizia Ludovica Ripa di Meana, perfino uno dei più grandi scrittori del Novecento italiano, vicino alla morte, le appariva in tutta la sua oscena miseria, con «la bocca semiaperta. Intorno al viso un tovagliolo con qualche macchia di sugo e di uovo, gli occhi aperti a metà: biascica spaghetti e piange. Clown desolato, inondato di luce».

Stupore che le funzioni somatiche si svolgano nella loro autonomia senza aspettare ordini che io non dò: le unghie e i capelli crescono, i reni e altri organi funzionano anche in questo corpo ormai così poco controllabile. Avevo provato uno stupore simile, in quel caso non per tempo ma per luogo, trovandomi in Paesi lontani, quando tutto lo stile di vita, l’alimentazione, etc. erano difformi dall’ordinario domestico: anche lì il corpo conservava una sua condotta autonoma, noncurante dei cambiamenti di luogo. 

Attraversare la città, sia pure per brevi necessità, mi dà una vertigine di disagio, sempre sul tema chi ha “attraversato il fiume” non può tornare impunemente nel mondo ordinario, in cui si muovono esseri umani ignari di quanto sta in agguato alle loro spalle. Possibile avvertirli?



1 commento:

tyu ha detto...

Possibile forse inutile. Le religioni ci insegnano come condurre un'esistenza vicina al divino, ma quanti sono attenti?
Mi sembra che "il problema non è nelle stelle, ma in noi stessi", anche avvertiti non cambieremmo.