domenica 18 agosto 2013

Schermaglie#30: dov'è la felicità?



Non eadem est aetas, non mens/L’età non è più quella, e l’animo neppure



Nella grande galassia della nouvelle vague troviamo convivere personalità e temperamenti diversi la cui collocazione risulta non sempre facile e a volte arbitraria. Ma lasciamo agli storici del cinema questo problema per rivolgersi a due film, di ispirazione quasi analoga ma con esiti differenti, nati nella stessa “famiglia” e nello stesso tempo: Les parapluis de Cherbourg (1965) di Jacques Demy e Le bonheur di Agnès Varda (1965).
I due film potrebbero essere considerati come illustrazioni degli Stadi sul cammino della vita di S. Kierkegaard. In Le bonheur, la Varda — regista attenta, sensibile, dalla capacità espressiva ricca e diversificata — presenta la famiglia di François, Thérèse e due bambini, “felice” nella sicurezza degli affetti. François un giorno incontra Émilie, quasi una copia della moglie, tuttavia l’importante è che sia un’altra, un’apertura alla vita al di là del quadretto familiare. François vorrebbe conciliare l’avventura con la stabilità, l’estetica con l’etica. Ma non è il vissuto della moglie che lo sente inaccettabile e si suicida. François finisce con lo sposare Émilie e il film sottolinea come il nuovo quadretto familiare, sia lo stesso del precedente, anche se non il medesimo. Cambia il nome, ma non il ruolo della compagna di François, i tempi del quintetto di Mozart, che fa da colonna sonora, sono diversi, è cambiata la stagione, i colori e l’abbigliamento, ma François, di nuovo inquieto, sembra interrogarsi su dove si trovi ora e se la felicità sia lì. Dunque, o la felicità è nel racconto della felicità che ci facciamo e che non consente di venir messa in dubbio, premiando con la sicurezza e la solidarietà, o è in quell’oltre, imprecisato e proprio perché non dominato è promessa e non realizzazione: due modelli che sembrano non poter convivere (come sottolinea la fine di Thérèse di fronte al possibilismo egocentrico di François). 
Jacques Demy, marito della Varda (al quale ella ha dedicato come omaggio post-mortem, il bellissimo, Jacquot de Nantes, 1991), regista delicato nella forma “impressionistica” e nei contenuti leggeri, ma non privi di ironia, in Les parapluis de Cherbourg (1964, Palme d’or a Cannes), apre un nuovo genere di commedia musicale francese, e mostra, in questo film, al contrario di Le bonheur, due amanti che, dopo avere attraversato vicende complesse e dolorose, e aver costruito ciascuno una propria vita indipendente, si rincontrano casualmente dopo anni, ma non cedono a velleitarie tentazioni di “ripresa” e si salutano convinti (in particolare Guy) di non avere più niente da dirsi. E qui l’etica dell’“assessore Guglielmo” prevale sull’estetica dei vari “Don Giovanni”. Ancora Kierkegaard!

Nessun commento: