domenica 30 gennaio 2011

Bijou

Patrick Modiano è uno scrittore oggi di grande successo in Francia. Autore di molti romanzi, è nato nel 1945 e il cognome lo rivela figlio di un italiano, ebreo emigrato in Francia nel 1942 dove, nella Parigi occupata, incontra quella che sarà la madre di Patrick. Personaggio misterioso, il padre, deportato, viene rapidamente liberato per l’intervento di qualche autorevole personaggio. Sempre occupato dai suoi affari incontra saltuariamente, in alberghi o stazioni, il figlio che, a 17 anni, decide di non rivederlo più e che si disinteresserà di lui, perfino della sua morte. Questi elementi biografici lasciano segni indelebili in Patrick che, divenuto scrittore (sarà Raymond Queneau a introdurlo nel mondo letterario), emergeranno nelle sue opere, caratterizzate dal tema dell’identità e da quello (connesso al primo) del rapporto coi genitori.
Il romanzo La Petit Bijou [2001; tr. it. col tit. Bijou, 2005] è la storia di una giovane donna, Thérèse, che in una stazione della metropolitana parigina crede di riconoscere la madre tra la folla dell'ora di punta. Non la vedeva da quando era piccola e comincia a seguirla, affascinata dal suo logoro cappotto giallo. I tentativi di approccio, la mancanza di coraggio per affrontarla in un diretto faccia a faccia, la progressiva scoperta della condizione miserabile in cui ella vive sono l’occasione per far riaffiorare ricordi di abbandono, sradicamento, solitudine e la presa di coscienza della propria precarietà esistenziale. Dall’archivio disordinato di memorie riaffiora il fallimento della madre come ballerina, cui fa riscontro quella di Thérèse bambina che aveva recitato a fianco della madre in un film ormai dimenticato. Le era stato dato il nome d'arte di Bijou e quel nome è rimasto come il marchio del suo fallimento, del rifiuto e della delusione materna nei suoi confronti. Il tentato suicidio finale potrebbe essere l’avvio per un nuovo inizio, ma solo un gratuito ottimismo può farlo pensare.
Alcuni nomi di personaggi sembrano rimandare a Balzac, tuttavia lo scenario è uno scenario di cruda modernità: non ci sono cipressetti (carducciani), monti sorgenti dalle acque (manzoniani), distese di biancospini (proustiane), ma la grande città fatta di strade, stazioni, metropolitane, caffè e farmacie, una città labirinto specchio dei labirinti dell’anima. La storia straziante ci presenta la più cruda delle miserie, quella della mancanza di identità e di riferimenti, di figure di attaccamento e di modelli: ciò che sembra ovvio quando viene ricevuto in dono (familiare e sociale) diventa una meta irraggiungibile per chi, situato alla periferia della vita, cerca di raggiungerlo inseguendo incubi, fantasie, ectoplasmi come l’improbabile e misterioso cappotto giallo.


2 commenti:

Anonimo ha detto...

E' significativo come gli incontri, quello di Patrick con il padre, specularmente a quello di Thèrése con la madre avvengano in una stazione, un cosiddetto non-luogo (Augè)...simbolo quindi di un mancato e reale incontro-riconoscimento." Bijou", prezioso nomignolo... ornamento vacuo...paradossale poiché racconta di un inesistente legame o meglio di un distorto legame. Thèrése-Bijou diviene specchio, proiezione delle ambizioni represse della madre, la quale le nega una sua autonoma identità. Patrick, nonostante il non riconoscimento del padre, riesce a ritagliarsi una sua autonoma identità, grazie anche forse all'aiuto di buoni maestri come Queneau...e a liberarsi dall'ossessione di aggrapparsi a logori cappotti gialli, grazie alla catarsi che gli dona la scrittura. Quei fantasmi ancora esistono...ma il dargli voce li rende meno terrifici.

bio ha detto...

A proposito di "veri" fantasmi, stamattina al risveglio mi hanno sorpreso alcuni oggetti fuori posto, in bagno e in cucina. Gli indizi al momento sono insufficienti per escludere fenomeni di sonnambulismo estemporaneo, ma il caso è aperto e attendo di raccogliere eventuali ulteriori segni.
Questo solo per tornare al punto e cioè i fantasmi "del passato", che mi sembra abbiano mediamente l'abitudine di manifestarsi in maniera più assidua del dovuto e invogliare continui ripensamenti di accadimenti vissuti, di interpretazioni conquistate, di conclusioni sudate e stilate con un sospiro di sollievo, vano.
Come è plastica l'identità: si struttura attraverso continue rivisitazioni e aggiornamenti di un passato non archiviabile e in un certo senso più presente del presente! Solo avere dei punti di riferimento affidabili permette di non perdersi del tutto, i modelli, le figure di attaccamento.
Ma nell'era di Internet che moltiplica gli scambi mediati e rende sempre più rari i confronti faccia-a-faccia, non si rischia di non saper più riconoscere i fantasmi dal reale?
Continuo a credere che gli unici veri punti di riferimento affidabili debbano avere un corpo.