sabato 6 febbraio 2010

Religione del futuro#1

Nel 1797 Hegel redasse una sorta di lettera/progetto filosofico, che rispecchiava anche le idee di Hölderlin e di Schelling, in cui si prospettava un rinnovamento della religione e della società mediante una nuova concezione del mondo basata su una «mitologia della ragione» capace di unificare intelletto e sensibilità. La dimensione estetica non è qui vista come una sfera separata, accanto se non in contrasto con la ragione, ma come il possibile fondamento di una visione del mondo in cui a tutti sia possibile riconoscersi, in quanto espressa in forme artistiche. Si prospetta così la costruzione di una «religione sensibile» che possa essere universalmente partecipata, nel suo fare appello a una comune sensibilità. La promozione della bellezza a fondamento e cemento dell’etica e della conoscenza, e la capacità di risposta che la pienezza della forma offre alla domanda di senso è ancora “estranea” a molta parte della nostra cultura politica, filosofica e religiosa, per cui quello scritto illuministico e romantico merita di essere riportato alla nostra attenzione.

Da Il più antico programma sistematico dell’idealismo tedesco (in F. Hölderlin, Scritti di estetica, a cura R. Ruschi, Milano, Oscar Mondadori, 1996):

[…] Ho la certezza che il supremo atto della ragione, quello con cui essa comprende la totalità delle idee, è un atto estetico, e che verità e bontà sono intimamente fuse soltanto nella bellezza. Il filosofo deve dunque possedere un’attitudine estetica pari a quella del poeta. […] Si conferisce così alla poesia una dignità superiore, e ridiventa alla fine ciò che era all’inizio — educatrice dell’umanità; infatti la filosofia e la storia scompariranno, e solo l’arte poetica sopravviverà a ogni scienza e a ogni altra arte. Assai spesso sentiamo anche dire che la massa deve possedere una religione sensibile. Non solo alla massa è necessaria, ma anche al filosofo. Monoteismo della ragione e del cuore, politeismo dell’immaginazione e dell’arte: è questo ciò di cui abbiamo bisogno! Esporrò ora un’idea che, a quanto mi risulta, non è ancora divenuta cosciente in nessun uomo — è necessario possedere una nuova mitologia, ma essa deve porsi al servizio delle idee, deve divenire una mitologia della ragione. […] Uno spirito superiore inviato dal cielo dovrà fondare tra noi questa nuova religione; sarà l’estrema, la più alta opera dell’uomo.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

belliussimo l'articolo

Anonimo ha detto...

bello

Armando Menicacci ha detto...

Va bene, il cielo è deserto e non possiamo più riferirci alle vecchia regole. Reinventiamoci un mondo, reincantiamolo come ha detto in "Coscienza e cambiamento". Ma allora come evitare l'altro scoglio. Qullo dell'arbitio che ci fa dimenticare di dire "noi" tornando ad un pericoloso "io"?
Armando

Riccardo ha detto...

Benché, come da più parti ci dicono, viviamo dopo la secolarizzazione e nell’ipermoderno dopo il postmoderno, siamo ancora lontani dal reincanto del mondo e dall’attualizzazione della “religione del futuro” (di cui qui si è parlato e si parlerà ancora). Quando mi riferivo al “cielo deserto”, intendevo indicare un possibile tipo di punto di partenza, oltre il cielo abitato dagli dèi e oltre la teodicea e la colpevolizzazione dell’uomo come viene affermata da varie tradizioni religiose: per andare dove? Mi sono ricordato delle parole di un illustre professore di Storia delle religioni (che ebbi occasione di seguire tanti anni fa: Angelo Brelich): “L’umanità attuale è in cerca della sua nuova formula della realtà. Questa ricerca affannosa non è, naturalmente, una questione di pura conoscenza: è la lotta esistenziale dell’uomo in questo mondo. L’uomo, infatti, non vuole la realtà per sé stessa, ma per trovare il modo di assicurare la propria esistenza in essa o di fronte ad essa... Ora, nessuno può prevedere quale sarà l’esito della lotta che la coscienza attuale combatte per conquistare la sua realtà”. Non possiamo fare previsioni, ma mi piace pensare che stiamo cercando di precisare i contorni di quella che possiamo chiamare una “vita aperta”: lì, probabilmente, potremo tentare qualche (nuovo/vecchio?) equilibrio tra l’io e il noi. Anche di questo parleremo.