giovedì 8 ottobre 2009

Sul potere: problemi e paradossi

Di fronte ai conflitti di potere presenti nel nostro Paese, pur senza entrare nel merito, qualche considerazione da "osservatore partecipante" sembra inevitabile. Balza infatti in evidenza che c’è qualcosa di paradossale nel fatto che la “destra” (usiamo solo per brevità queste etichette ormai assai discutibili) si scontra con realtà che sembra non saper interpretare in profondità essendo inibita nell’utilizzazione di alcune categorie e analisi del potere provenienti della cultura di “sinistra”: marxista (diritti formali e interessi di classe, democrazia borghese e oppressione reale...), gramsciana (concetto di egemonia), foucaultiana (macro- e micro-circuiti del potere), etc., ritenendo sufficiente ancorarsi alla “volontà popolare” espressa dal voto; mentre la “sinistra”, dimenticate le sue radici culturali, si ritiene legittimata ancorandosi a quelli che la storia delle religioni chiama “miti di fondazione” (resistenza, Costituzione, pacifismo...), che in quanto miti vanno “rispettati” e mai messi in discussione. Osserviamo pertanto che il potere basato sulla “sovranità popolare” si scontra con quelli che si chiamano “poteri forti” (stampa, banche, burocrazia, “intellettuali”, parte della Chiesa, sindacati...), resistenti o ostili alle riforme che avrebbero dovuto segnare il passaggio dalla I alla II Repubblica, con rivoluzionari conservatori, da un lato, e progressisti immobilisti, dall’altro. Nei passaggi storici forti si è sempre verificata la difficoltà, per gruppi e istanze emergenti, a produrre cambiamenti rimanendo nel quadro di regole preesistenti (la Rivoluzione francese avrebbe potuto realizzarsi rispettando le regole dell’ancien régime? Possiamo immaginare il potere dei soviet nel quadro dell’impero zarista?) ed è difficile misurare grado di elasticità e punto di rottura di un sistema istituzionale a fronte di richieste di mutamento: per questo sono state quasi sempre richieste vittime sacrificali (i re uccisi), instaurati terrori e dittature violente e cannibaliche, per arrivare, solo col tempo, a nuovi equilibri e nuove regole.

Una sorta di contro-esempio è rappresentato dal dopoguerra giapponese, con un grande cambiamento sociale e un sistema imperiale ridimensionato, ma conservato nel suo potere simbolico: la differenza è che lì vigilava la super-potenza america...!

La storia dirà “come andrà a finire” lo scontro che abbiamo di fronte e la sua vera natura; oggi, continuiamo ad assistere a un "dialogo" inconcludente tra miti fondativi (con conseguente difesa di rendite, prospettive di bassa crescita e impoverimento progressivo), volontà popolare (che sembra non riuscire e forse non saper ottenere riforme, liberalizzazioni, formazione), “moderati” (che vogliono abbassare i toni, smussare gli angoli e continuare a galleggiare): per quanto?

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