mercoledì 7 ottobre 2009

Desiderio: La pelle di zigrino

Desiderio: scolasticamente, quel “movimento” cognitivo e affettivo che mira a costruire una realtà interna ed esterna diversa da quella di partenza, teso al raggiungimento o all’evitamento di un oggetto o di una situazione e alla realizzazione di un progetto. Di esso si è detto che definisce l’uomo come mancanza e della “radicalità” del desiderio di essere desiderato (Lacan), del desiderio mimetico (Girard), dei neuroni specchio e dei meccanismi dell’imitazione (Rizzolatti, Ramachandran, ma chi ricorda più Gabriel Tarde, 1890, e il suo studio dell’imitazione come base del legame sociale?). Esprimendo il carattere culturale, e non “naturale”, dell’uomo, l’articolazione del bisogno col desiderio può essere assai complessa e patologicamente distorta, per cui spesso ci troviamo a desiderare ciò di cui non abbiamo bisogno e ad aver bisogno di ciò che non desideriamo. La psicologia clinica si configura, in gran parte, come un’ermeneutica del desiderio, la sociologia mira a smascherarne le manipolazioni, la politica a realizzare quelli socialmente espressi... e via continuando. L’uomo non ne conosce la genesi, sente l’identità di esso con la vita, non sa gestirlo, ne ha paura (v. il magnifico Stalker di Tarkowskij, 1979, viaggio verso una misterioa stanza in cui si esaudiscono i desideri), si inquieta spesso di fronte ai suoi “oscuri oggetti” (Buñuel, 1977), la morale repressiva lo ha visto come via di perdizione, quella emancipatoria ne ha promosso la liberazione, le scuole di saggezza hanno esortato a moderarlo evitando gli eccessi.

Balzac, nel piano del vasto progetto della Commedia umana, ha collocato tra gli “studi filosofici” il suo romanzo fantastico La pelle di zigrino (1831), dedicato al tema. In esso, Raphaël de Valentin, un giovane economicamente dissestato, ottiene da un antiquario una pelle dotata della magica proprietà di esaudire tutti i desideri, ma che progressivamente si restringe, a misura di ogni soddisfazione ottenuta. Il restringersi della pelle è una metafora del consumarsi della vita e delle energie creatrici per il fatto stesso di vivere e di creare, e Raphaël morirà quando il talismano sarà “esaurito”. Spirerà sul seno ritrovato della donna che lo aveva sempre amato, metafora della vita stessa, ma da cui si era “dovuto” allontanare nel doloroso detour dell’esperienza e della maturazione. L’antiquario dice a Raphaël: “Le rivelerò in poche parole un grande mistero della vita umana. L’uomo si esaurisce in due atti istintivamente compiuti che inaridiscono le sorgenti della sua vita. Due verbi esprimono tutte le forme assunte da queste due cause di morte: Volere e Potere. Fra questi due termini dell’azione umana, c’è un’altra formula di cui si impadroniscono i saggi ed io le devo la felicità e la longevità. Volere ci consuma e potere ci distrugge; ma sapere lascia il nostro debole organismo in un perpetuo stato di tranquillità”. La via di una conoscenza salvifica (gnosi) che faccia vivere e trascendere il mondo finito in una consapevolezza più alta viene, tuttavia, rifiutata dal protagonista, che si avvia così verso la infelice “consumazione” della propria vita, secondo il noto “Video meliora proboque, deteriora sequor”.

Del romanzo si potrebbero ricordare la descrizione e la critica della società del tempo (Restaurazione-“monarchia di luglio”), la tipizzazione delle donne dell’epoca, l’enunciazione dei “miti” fondatori del pensiero dell’Autore che troveranno poi più concreta espressione negli “études des mœurs” della Comédie. Ma, alla fine della lettura, viene da domandarsi cosa faremmo se avessimo noi a disposizione una pelle di zigrino come quella del romanzo. In un film di Rohmer si racconta la favola dei tre desideri, nella quale una coppia poteva esprimerne soltanto tre: il marito chiese un salame; la moglie, furiosa, che gli pendesse dal naso; lui, a quel punto, che gli venisse staccato. Così spesso finiscono le nostre aspirazioni...

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