martedì 10 febbraio 2009

Silenzi e grida

Già vari anni fa con le riflessioni che Foucault aveva avviato sul biopotere e la biopolitica si faceva evidente la consapevolezza che mentre nel passato, fenomeni come la salute, la morte, la sessualità, la riproduzione o l’alimentazione erano considerati esclusivamente privati e sembravano, così, estranei al controllo e all’intervento dello Stato, oggi in maniera sempre più esplosiva, questi temi sono diventati oggetto di dibattito e scontro politico.

Gli eventi di questi giorni ne offrono una riprova acuta e per molti versi dolorosa, esacerbando gli interrogativi, inasprendo le contrapposizioni, ostacolando anche la possibilità di riflettere sulla tragicità della malattia e della morte. Si avverte un forte bisogno di raccoglimento e di fuga dalle polemiche: ricordo come, in un periodo difficile della recente storia francese (questione algerina), nelle riunioni di psichiatria all’Asile Sainte-Anne, quando qualcuno faceva scivolare le considerazioni di psicopatologia in discussioni “politiche”, Lacan si sottraesse ripetendo “Pas d’actualité”. Inattuali, lontani dal clamore mediatico, ma difficile rimanere muti o “spensierati”... E su cosa, come, con chi riflettere? Qui vorrei limitarmi a sottolineare solo alcuni dei punti a mio, ma non solo, avviso più basilari e sui quali si impongono delle opzioni generali con cui ciascuno può/deve confrontarsi:

1. Distinzione tra sacralità e qualità della vita. Una concezione “naturalistica” della vita, benché sostenuta dalle forme più tradizionalistiche di spiritualità, afferma il valore “sacro” della vita biologica, ma sottostima il valore dei vissuti, dell’esigenza di vivere secondo obiettivi, aspirazioni e standard corrispondenti ai propri orientamenti e credenze personali, in breve tutto ciò che oggi, riconosciuto anche dall’Organizzazione mondiale della sanità come fondamentale componente del benessere, viene indicato con l’espressione “qualità della vita”. Da una “sacralità” così intesa finiscono per determinarsi gli accanimenti terapeutici e le imposizioni arroganti di una “difesa” a oltranza della vita biologica, mentre tutti dovrebbero ricordare che i martiri e gli eroi hanno sempre anteposto gli ideali alla mera sopravvivenza. Certo, la vita biologica va tutelata, ma perché dovremmo arrestarci a questo livello elementare pur se basilare? Anche la tesi di chi invita a “lasciar fare la natura” (sia per quanto riguarda gli inizi che la fine della vita) sembra dimenticare che nulla è più culturale del concetto di natura e che se c’è una natura dell’uomo essa ha di proprio il fatto di interrogarsi, sfidare i limiti, costruire un’esistenza libera e autodeterminata.

2. Conseguenza dell’introduzione delle nuove tecnologie nei vari campi della nostra condotta individuale e collettiva è stato l'enorme ampliamento di spazi di libertà, con la conseguenza che molto di ciò che in precedenza era considerato “naturale” (sia nel senso di “fatale” e a cui ci si riteneva quindi ineluttabilmente condannati, sia nel senso di “casuale” o non-dominabile, come per molte malattie) oggi è entrato nel campo di nuove e più ampie possibilità di scelta e di responsabilità. La possibilità di scegliere in ogni momento della propria esistenza i modi di realizzare i propri piani di vita è sentita come valore prioritario e si esprime nella richiesta di libertà nel percorso formativo, nel tipo e nel tempo di lavoro, dell'ambiente in cui vivere, di come strutturare i propri legami sessuoaffettivi, di decidere se e quando avere un figlio, dei modi di curarsi o non curarsi, di morire in autonomia e dignità, e via enumerando: tutte esigenze di vedere riconosciuto il diritto (fondato sulla fiducia nella capacità dell’uomo) di cercare autonomamente e responsabilmente il proprio benesse, contro poteri che pretendano di indicare quali siano i bisogni e come debbano essere soddisfatti. Paradossalmente, anche in questo caso, le espressioni tradizionalistiche della spiritualità cristiana, che pure hanno dato un contributo di portata incancellabile al riconoscimento della dignità della persona, si fermano al riconoscimento di essa nella sua “materialità” naturalistica o nella pretesa (quindi non universalmente condivisibile) esistenza di un’anima immateriale, ostacolando il riconoscimento della dignità della persona nella sua espressione più elevata: la capacità di una consapevole autodeterminazione. Per quanto riguarda poi le forme di spiritualità orientale, buddhismo compreso, dobbiamo constatare che esse non hanno ancora fatto i conti con la soggettività come è stata elaborata dalla nostra cultura. Benché presenti in Occidente, va rilevato che si tratta di tradizioni le quali, da un lato, si sono sviluppate lontane da Eschilo e Platone, dal diritto romano e dal cristianesimo, da Pico della Mirandola, da Cartesio, dai “lumi” e dal romanticismo, da Nietzsche e da Freud, cioè dalle fondamentali radici identitarie della nostra civiltà; dall’altro, si sono tradizionalmente poste mete e obiettivi spesso antitetici a quelli della cultura occidentale. Pertanto, le difficoltà sul piano del riconoscimento della soggettività e degli spazi della sua autonomia non sono state non solo superate ma nemmeno significativamente affrontate, per cui, al fine di una possibile autentica inculturazione della spiritualità orientale in Occidente lo stimolo offerto dalla problematica bioetica non dovrebbe essere più a lungo disatteso, in un silenzio che non sembra proprio potersi qualificare come “nobile silenzio”.

3. Laicità. Per uscire dalla logica maggioritaria, improponibile su questioni riguardanti le libertà individuali, occorrerà ricercare quei punti di un possibile unanime consenso, che oggi non sembra poter essere individuato altro che nel concetto di laicità del potere statale, come la forma più rispettosa e comprensiva delle differenze, più “forte”, anche, perché in grado di “contenerle” e comprenderle nella maggior misura possibile. Certo ogni cultura declina l'universalismo secondo i suoi riferimenti (e ogni universalismo rischia di venir considerato un particolarismo), ma nell'incontro (se lo si vuole incruento) di etiche differenti, se ciascuna posizione riuscirà a fare lo sforzo di immaginarsi come minoranza che, in quanto tale, potrebbe venire oppressa dal prevaricare di una maggioranza ostile, tutti si potranno ritrovare interessati a costruire, sostenere e sviluppare una cornice legislativa “liberale” che assicuri la convivenza dei diversi convincimenti nel riconoscimento unanime e integrale della dignità della persona.

Nessun commento: