giovedì 1 gennaio 2015

Schermaglie #39/Cominciamo con una fiaba...

Cominciamo l’anno con una fiaba: quella giapponese del X sec. intitolata Storia del tagliatore di bambù [Taketori monogatari], nella libera versione cinematografica di Isao Takahata. È commovente che, nel 2013, due grandi maestri dello Studio Ghibli abbiano firmato entrambi due importanti opere, lasciando un significativo messaggio prima di andarsene: Miyazaki con Si alza il vento, conclusione della sua produzione e Takahata, ritornato al lavoro di regìa dopo 15 anni, con Le conte de la princesse Kaguya  [La storia della principessa splendente], anche lui probabilmente per concludere la sua produzione. Si tratta di due opere non solo da godere per i loro aspetti formali (più avanzati quelli di Miyazaki, ancora in qualche modo artigianali, disegno a matita/carboncino su sfondo di acquarello, quelli di Takahata), ma perché ricche di significato spirituale, sorprendenti per il loro ottimismo tragico (o almeno consapevole) che viene da un Paese che, per molti aspetti, sta attraversando un periodo “critico” e, forse per questo, impegnato senza farne grande mostra in una riflessione sulle sue radici e sul futuro da ridisegnare.
Se su Si alza il vento mi sono già soffermato (post del 5 dic. 2014), la Storia della principessa splendente (il titolo, per chi conosce un po’ la letteratura giapponese non può non richiamare il Genji Monogatari, storia del “principe splendente”), è ben più di un’opera di poesia pastorale o di «un film con insetti ed erba», secondo le parole assolutamente “modeste” del suo realizzatore, semmai opera di ecologia umana e di educazione spirituale.

La storia narra di un tagliatore di bambù che un giorno scopre in un germoglio una piccola bimba. Lui e sua moglie l’allevano, si rendono conto della sua origine soprannaturale (la vita lo è sempre!), abbandonano la vita da contadini, la educano, come una nobile damigella. Lei cresce rapidamente e diviene una magnifica ragazza che attira i più grandi prìncipi e lo stesso imperatore. La giovane, nella conclusione del film, ci fa sapere che per resistere alle lusinghe di quest’ultimo aveva rivolto una preghiera di aiuto alla Luna affinché la portasse via (depressione e desiderio di morte, potremmo dire noi, oggi) da una vita sociale piena di artefatti e contraffazioni, via da un pianeta nel quale era discesa quando il tagliatore l’aveva trovata. Ma perché era discesa sulla Terra e perché questa storia era cominciata? Lei, abitante del pianeta lunare (che dobbiamo interpretare come la, o una, Terra pura del molto popolare, in Giappone, Buddha Amida, il quale compare infatti in forma quasi statuaria nelle scene finali del film, senza che ne venga tuttavia esplicitata l’identità), aveva ascoltato da una donna, discesa sulla Terra e poi ritornata sulla Luna, una canzone (Gira, gira...presente nel film) che parlava del continuo ciclo della vita, in cui erbe e animali nascono, crescono e poi scompaiono, vita in cui  c’è anche  la sofferenza, ma in un tutto capace di nutrire la clemenza e la compassione degli uomini. La malinconia che la donna continuava ad avere aveva fatto nascere nella futura principessa Kaguya il desiderio di conoscere il pianeta proibito, desiderio punito appunto con l’invio sulla Terra, dove avrebbe incontrato tutte le impurità di cui essa è ricca. Ma, nella sua avventura terrena, Kaguya conoscerà sì le contaminazioni e le contraffazioni di una vita fatta solo di apparenze, ma aveva imparato a distinguerle dalla bellezza autentica della vita nei campi, dell’esistenza semplice e spontanea, degli amori infantili, degli affetti che portano «il sole nel cuore» (come dice un’altra canzone che ascoltiamo nel passaggio del générique di coda). Una volta che si ritorna sulla Luna si dimentica, come purificazione, ciò che si è visto e sperimentato, ma Kaguya pur avendo fatto tale richiesta in un momento di difficoltà, non gradisce questa cancellazione totale e la purezza a essa seguente: se si conserva memoria di dove il cuore è stato, del calore della presenza che conforta anche «nella tristezza, quando si devono accarezzare le ferite», se sempre «si ritornerà dove il cuore è stato», quella discesa non avrà avuto per lei il significato di un esilio e di una punizione degradante (Kaguya, tornata sulla Luna dice infatti a un’apsara [spirito delle nubi e delle acque] che la assiste: «io non sono contaminata!»), ma quello di una realizzazione e forse di una premessa a una futura ulteriore “reincarnazione”. Nuovo Orfeo nella Terra pura, Kaguya, prima di essere portata via definitivamente (?) dal Buddha della purezza, si volge ancora per guardare ciò che sta per perdere; d’altra parte, agli “amici” terreni di Kaguya, che guardano la Luna nella quale lei viene “riassorbita”, appare l’immagine di una minuscola bimba come quella trovata dal tagliatore di bambù. La purezza non affascina più, forse è addirittura metafora del gelo della morte, da cui la nostalgia della vita spinge a fuggire: come diceva un Maestro zen, «Nell’acqua troppo pura non vivono i pesci». Platone rovesciato, non si ha sulla Terra ricordo dell’iperuranio, ma nei cieli il ricordo della Vita. La visione di un buddhismo “negativo” è, con delicatezza e solo allusivamente, rifiutata e viene prospettato in modo fiabesco il tradizionale ciclo delle rinascite. Questi autori ci ricordano che la vita che viviamo qui sulla Terra, piena di seduzioni e delusioni, lacrime e sorrisi, bellezze e tristezze, è la sola che conosciamo e possiamo amare, in una Terra da incantare e pulire, ma non da sterilizzare, e quando «si leva il vento» delle avversità ci suggeriscono, con Valéry, che «il faut tenter de vivre»!

Nessun commento: