mercoledì 29 ottobre 2014

Colette e le lacrime di Proust


Colette (Sidonie-Gabrielle Colette, 1873-1954) fu attrice, scrittrice, membro e poi presidente dell’Académie Goncourt, insignita del grado di grand officier della Légion d’Honneur, al centro di scandali per le sue relazioni e il suo comportamento spregiudicato; alla sua morte la Chiesa le negò i funerali religiosi, ma in cambio (prima donna in Francia) ebbe le esequie di Stato. La prestigiosa collana della Pléyade ne ha raccolto gli scritti in ben 4 volumi.
Colette aveva conosciuto Proust quando, appena sposata (1893) con Henry Gauthier-Villars, aveva cominciato a frequentare i salotti parigini. Non divennero mai amici, ma quando la scrittrice gli inviò il suo romanzo Mitsou ou comment l’ésprit vient aux filles [Mitsou ovvero come le fanciulle diventano sagge] (1919) Proust le scrisse «Ho un poco pianto stasera, per la prima volta dopo molto tempo, eppure da un pezzo sono oppresso da dispiaceri, da sofferenze e da seccature. Ma se ho pianto non è per tutto questo. È leggendo la lettera di Mitsou. Le due lettere finali sono il capolavoro del libro».
Cosa può avere così fortemente commosso Proust? Il libro (che ha spunti autobiografici) narra la scoperta dell’amore da parte di un’attricetta di music-hall, mantenuta da un “uomo perbene”, per un tenente incontrato per caso al tempo della prima guerra mondiale. La scoperta cambia la sensibilità e la vita della giovane donna, ma ove risiede la raggiunta saggezza?  Forse, è nella dolorosa scoperta fatta dalla protagonista che l’amore può ferire, non essere ricambiato, rimanere unilaterale («Mio caro, la cosa difficile per voi era non essere amato da me. La cosa quasi impossibile per me era essere amata da voi»), parziale e transitorio, quando lo si vorrebbe totale ed eterno: ma la “saggezza” di Mitsou sta nel non entrare nell’esibizionismo depressivo («so comportarmi bene e non ho bisogno di essenza di melissa né di aceto»), mostrandosi capace di rinunce e, pur con qualche vaga speranza, rimanendo ferma sul presente, non per spensierato edonismo, ma con un maturo, malinconico realismo.

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