martedì 12 marzo 2013

Modi di dire#17/Persona incinta



Ci sono nodi obiettivamente difficili che la nostra cultura ha difficoltà ad affrontare e sciogliere, e che evidenziano problematiche molto complesse. Due esempi: una sempre più manifesta fobia della differenza sentita come lesiva dell'eguaglianza e l'incapacità di definire un accettabile confine tra natura e cultura. Che si fa? Poiché il linguaggio serve molto spesso (alcuni direbbero prevalentemente o sempre) per nascondere, si ricorre, tanto per mettere "una pezza", a espressioni, dette "politicamente corrette", che a volte (visto che imperano il diversamente abili, diversamente giovani, in attesa del diversamente zombie e di un auspicato diversamente diversi) verrebbe voglia di chiamare diversamente sciocche. 
Ed ecco l'ultima, presa da Il Foglio quotidiano del 9 marzo.
La notizia arriva dalla Svezia. Recentemente abolita la legge che imponeva la sterilizzazione per il transessuali, succede ora che è stata presentata una proposta per modificare un’altra legge. In pratica si vorrebbe sostituire alla dizione “donna incinta” – la più ovvia delle banalità visto che, fino a prova contraria, soltanto le donne possono rimanere incinte – la nuova definizione considerata più politicamente corretta di “persona incinta”. Il dubbio linguistico, a chi ha presentato la proposta di legge al Parlamento svedese, è venuto pensando a quei transessuali che da donne sono diventati uomini a tutti gli effetti, quindi anche per l’anagrafe. Chi di loro ha mantenuto la possibilità di procreare, nel giorno in cui dovesse aspettare un bambino, come dovrebbe essere chiamato? Non certo “donna incinta”. Ma nemmeno “uomo incinto”. Di qui l’empasse, che potrebbe rendere obbligatorio esprimersi con il neutro, “persona”.
La proposta di legge svedese è l’ennesima prova di come l’illusione di sovrapporre l’arbitrio del linguaggio e del politicamente corretto alla realtà dei fatti finisca per partorire (è il caso di dirlo) vere mostruosità logiche e linguistiche, prima ancora che giuridiche. Ogni volta che si fa appello all’ideologia del gender – quella per la quale il sesso di una persona è una pura costruzione culturale senza alcun ancoraggio alla carne e alla realtà, cioè alla vita per quel che è  – bisognerebbe ricordarsi che si rischia di  consegnarsi mani e piedi al ridicolo. Quel ridicolo che, in certi casi, è il peggior peccato del mondo. 


E come fare, leggendo certe notizie, a non pensare a quella famosa scena del “Caimano” di Nanni Moretti, quando Bruno Bonomo, interpretato da Silvio Orlando, incontra la giovane coppia di lesbiche che parlano la lingua adattata all’epoca dei nuovi diritti. Una lingua che lui non conosce, e lo ammette, sbottando: “No per favore, queste cose non le capisco”.


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