mercoledì 5 dicembre 2012

Schermaglie#27/Il cammino per Santiago


Figlio, questo sconosciuto! Una parte di te ma che non appartiene a te, di cui non conosci veramente emozioni, sogni, esperienze… coincidenza di massima vicinanza e massima estraneità in questa relazione paradossale. Quando, tra le massime sventure, un figlio muore e si è messi di fronte, in tutta la sua violenza, a questa lontananza definitiva, nasce il desiderio di rivivere i suoi ultimi momenti di vita, andando a respirare, odorare, toccare, calpestare quello che per lui/lei ha rappresentato la porta dell’eternità e dove tutto si è compiuto.
È il soggetto di Il cammino per Santiago, film di Emilio Estevez (2010), in cui un affermato e atletico professionista californiano, arriva in Francia per recuperare il corpo del figlio, morto proprio all’inizio del pellegrinaggio per Santiago. Con le ceneri in una scatola, l’oculista sente di dover portare a termine quel proposito rimasto incompiuto, compie lui il pellegrinaggio e, mentre a tappe rilascia le ceneri nei luoghi che attraversa, cerca di ricollocare il figlio tra le cose e le relazioni che pensa avrebbe voluto vedere e vivere, confrontandosi ora lui con esse.
Il film si dilunga su tutto quello che può avvenire lungo il cammino, su questa spiritualità on the road, non col cinismo dissacrante del Buñuel di La via lattea (1969), ma con una narrazione condotta su un piano convenzionale, a volte buonistica, in cui è diluita la forte intuizione iniziale, ma che nondimeno riesce a trasmettere il senso del surrender, dell’abbandono a una Potenza superiore che conclude la faticosa e destabilizzante avventura. Un piccolo assaggio di mise en abyme ci è dato nel racconto del racconto che uno scrittore in cerca della sua ispirazione comincia a fare narrando la storia dell’oculista e del figlio scomparso. Ottenuta, con le “credenziali” che testimoniano le tappe del percorso (ahimé! ecco il ricordo del mio Shuin-cho, “quaderno con i timbri rossi” che si “meritano” nei pellegrinaggi giapponesi!), la certificazione finale della “penitenza” effettuata, la ferita è suturata e si può tornare, eguali ma non identici a prima, nel mondo ordinario. 

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