mercoledì 26 agosto 2009

Marivaud, La double inconstance (1723)

Un principe fa rapire una contadina, Silvia, di cui è innamorato e che vuole sposare. Silvia ama, invece, Arlecchino, un paesano semplice e scaltro. La dama di corte Flaminia si assume il compito di separare affettivamente la coppia; riuscirà nel suo scopo, consentendo così il matrimonio del principe con Silvia, ma rimarrà presa dal suo stesso giuoco: si innamorerà di Arlecchino, uscendone, come ella stessa dice, “victorieuse et vencue” (III, 1). Questa la trama di La double inconstance, commedia nella quale convivono, a voler parlare di generi, la commedia all’italiana, quella di carattere, di improvvisazione e pastorale.

Quasi due secoli prima di Proust e di Freud, Marivaud scopre “les intermittances du coeur” e l’impossibilità di governare la nostra vita affettiva, espressione dell’inconscio: i sentimenti non sono costanti, cambiano e si trasformano senza che sappiamo veramente perché (“on n’est pas le maître de son coeur”, III, 8). Silvia dirà: l’amore per Arlecchino “est venue sans mon avis, il s’en retourne de meme”(III, 7), perché “son coeur allait plus vite qu’elle”(I, 5); la nascita di una passione è una sorpresa che turba (“mon plaisir où est-il? Il n’est ni là, ni là, je le cherche”, II, 8) e un enigma (“ce que je veux j’attends qu’on me le dise, j’en suis encore plus ignorante que vous”, II, 9). Sulla base dell’incostanza universale, niente assicura che il legame delle due coppie sarà duraturo e felice: nell’ultima battuta il furbo Arlecchino insinuerà, infatti, “Je me moque du tour que notre amitié nous a joué; patience, tantôt nous lui en joueron bien un autre” (III, 9).

Vita semplice dei villici e vita complicata della corte, il cui peso, falsità e ridicolo si palesano agli occhi del paesano, impreparato a comprendere il valore delle costruzioni simboliche, essendo fatto per altre “verità”.

Marivaud eccelle nell’arte del dialogo e nel gusto della parola, nei quali continua a vivere e si sviluppa l’arte della conversazione: “Marivaud — scrive Sainte-Beuve — ha dato la denominazione a un genere e il suo nome è divenuto sinonimo d’una certa maniera: questo solo basterebbe a provare fino a qual punto egli vi ha insistito e vi è riuscito. ‘Marivaudage’ è, da un pezzo, un termine di vocabolario”.

Lo stesso turbamento affettivo coinvolge individui appartenenti a strati sociali diversi e in latente o palese conflitto tra loro; i mascheramenti e i doppi giochi sono la norma; la simulazione e la menzogna sembrano i mezzi adeguati per far emergere la/qualche “verità”. Tutti elementi che definiscono la “modernità” di Marivaud, tant’è vero che ne ritroviamo l’impronta in opere successive: non posso non pensare, ad es., a La règle du jeu di J. Renoir.

DVD della Comédie française (mise en scène Jean-Luc Boutté, réalisation jean-Roger Cadet), 1982

Adatt. cinemtografico (mise en scène Marcel Bluwal), 1975 INA.

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