Guy de Maupassant nella novella Chissà!? descrive la incredibile avventura del protagonista, “un solitario, un sognatore”, che viveva nella sua casa, circondato da cose, ninnoli, mobili, ai quali era affezionato tanto da sentirli importanti come persone e che una sera mettono in atto una inspiegabile rivolta e “decidono” di andarsene dalla casa in cui erano “ospiti”. Vi torneranno poi, altrettanto misteriosamente, ma il protagonista essendo rimasto sconvolto per l’accaduto, dopo un viaggio, decide di farsi ricoverare in una casa di cura, pensando di poter essere “lo zimbello d’una bizzarra visione. In fin dei conti, chissa!?”. La letteratura e la musica annoverano altre situazioni simili (basti pensare a Pinocchio, a L’enfant et les sortilèges…), a testimonianza di un rapporto a volte inquietante col mondo degli oggetti, che talora appaiono come animati da una loro vita segreta e indipendente. Ma anche senza arrivare a tanto, è esperienza quotidiana che gli oggetti “resistano” ai nostri voleri, “disubbidiscano” e suscitino per questo reazioni rabbiose: nodi che non si sciolgono, tazze che cadono e vanno in frantumi, schizzi che rovinano i vestiti, computer che cancellano i nostri dati, abiti che si impigliano e si lacerano… e allora quante volte abbiamo visto qualcuno, in preda alla rabbia, “completare” l’opera predendo a calci l’automobile che lo ha lasciato a terra, finendo di strappare un vestito o calpestando quanto resta di un paio di occhiali rotti...: reazioni d’ira e d’impazienza. L’ira è il contrario della pazienza, una virtù considerata minore, non essendo annoverata tra le fondamentali (Platone, Aristotele) o “cardinali” (Sant’Ambrogio), quelle che costituiscono i cardini del comportamento morale: la prudenza e la giustizia (virtù dell’intelligenza), la temperanza e la fortezza o coraggio (virtù della volontà). Anche l’iconografia della pazienza è scarsa, a fronte di quella delle virtù cardinali. Oggi parlare di virtù non è molto di moda (si preferisce parlare di vizi, più suscettibili di analisi psicologiche e sociali), ricorda superate (?) etiche normative e obsoleti catechismi, anche se non mancano coraggiose eccezioni, come le analisi di V. Jankélévitch o di S. Natoli e, quasi incredibile, la Séance publique annuelle che l’Académie française dedica a un “Discorso sulla virtù”, tenuto da uno degli accademici, sempre con profondità, finezza e, a volte, francese ironia.
Tornando agli oggetti, dovremmo realizzare che essi, quando sembrano “resistere” alla nostra volontà, in realtà osservano con umile intelligenza le leggi della fisica che ben “conoscono”: la gravità, l’adesione, le resistenze, gli attriti, la termologia… mentre noi, affrettati, ignoranti e superbi protestiamo scioccamente al minimo intoppo. Allora, una semplice modalità per praticare la pazienza e prevenire una sterile rabbia potrebbe essere proprio questa: controllare i gesti, osservare la situazione con calma, accettare una diversa scansione del tempo, imparare ad aspettare, cercare di capire meglio il problema, adoperare gli strumenti adatti e, soprattutto, sforzarsi per mettersi in accordo e non in antagonismo con gli eventi: se non altro, se ne guadagnerà in eleganza!
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