domenica 23 novembre 2008

Pagare il debito


報恩
Un concetto importante per comprendere lo spirito giapponese e l’unità culturale del popolo del Sol Levante è quello della Lealtà-pietà filiale-riconoscenza verso l’imperatore, i genitori, gli esseri senzienti e verso i tre gioielli buddhisti (Buddha, Dhatma e Sangha): avendo ricevuto inestimabili doni si è contratto un debito di riconoscenza che andrà ripagato nel corso della vita. Il termine hoon, impiegato appunto per esprimere la restituzione della gentilezza o il pagamento del debito è scritto con un carattere composto, in cui sono presenti, a sn, la buona fortuna (sfortuna rovescita = felicità) e una persona colpevole, a cui dare la giusta “ricompensa”; a dx, la misericordia che si prova verso una persona costretta, quindi, gentilezza: dunque ricambiare la gentilezza, pagare il debito.

Hoon mi ricorda il dovere del pagamento del debito che tutti abbiamo contratto nel ricevere i doni di cultura, lingua, arte, che hanno formato la nostra personalità, attraverso la “restituzione” da effettuare con l’impegno/dovere/piacere dello studio. Ci sono, infatti: il debito contratto con la “scuola” (colmando le lacune determinatesi nei percosi formativi, quello che ignoriamo o abbiamo dimenticato e dovremmo sapere in forza dei “titoli” conseguiti: “Tutto quello che non so l’ho imparato a scuola”, diceva Longanesi) e il debito più sottile, elevato, spirituale, contratto con gli autori, le persone e le istituzioni che quei beni hanno creato, offerto, trasmesso, e che ci hanno nutrito, sostenuto, raddrizzato. Con lo studio possiamo contribuire alla vita dello spirito, lavorando contro la dispersione dei tesori immateriali e ridando voce ai morti,  nella perenne attualità della libera vita dello spirito, l’unica forma di immortalità o almeno di persitenza che ci è concessa: studio come preghiera, liturgia, celebrazione, riparazione per i peccati dei rumori e degli orrori dell’oblio e dell’ignoranza.

2 commenti:

PanDharma ha detto...

...per tentativi ed errori: quando il tentativo non conduce più all'errore (ma a volte ciò è possibile solo dopo svariati tentativi sfociati nell'errore, valido e degno esortatore del nostro agire) comincia a farsi strada la certezza data dalla consapevolezza di come realizzare una data azione e/o altro, apprendendo dalla propria esperienza e potendo perfino narrare in tal modo di essa e, per giunta ad un meta-livello, di come la frustrazione assieme al desiderio siano divenuti maestri nell'insegnare un metodo, nell'apprendere un processo, nello scoprire un sistema ;-)
dai vissuti di fallimento ed acquisizione di esperienza di un blogger che si è visto cancellare i propri commenti vittima di sè stesso...e della tecnologia con la quale, volente o meno, è d'uopo coniugarsi in un proficuo sposalizio
un abbraccio

PanDharma ha detto...

Il pensiero sulla pietà filiale è uno di quei concetti orientali che riempiono gli spazi mentali e offrono la possibilità euristica di creare ponti e abbracciare quindi ciò che è distante e sconosciuto...
Ma come può tendere alla propria realizzazione colui che è in cerca, senza trascurare l'attenzione ai propri cari?
Nella terapia familiare il "giovane" che si vuole svincolare dalla famiglia deve innanzi tutto cogliere la propria appartenenza ad essa per realizzare il suo progetto. Sarà il continuo rimando tra la famiglia e il "giovane" individuo, in una ri-elaborazione con-divisa e circolare dei vissuti tra questi attori, che attraverserà l'intero ciclo vitale, ad apportare continui cambiamenti e trasformazioni a tale sistema...
Per quanto riguarda i percorsi formativi, Kate Bornstein, nel suo libro "101 alternative al suicidio", ne descrive 3 modalità nell'alternativa n°5: "Prima finite i compiti". La "modalità paziente" è quella di iscriversi all'Università; la "modalità neurogenetica" è quella di imparare cose nuove per stimolare le cellule cerebrali a rigenerarsi; la "modalità rivoluzionaria" è quella di insegnare a noi stessi, contattando altri auto-studenti che fanno ciò che noi vogliamo fare...e questa mi ricorda il Sangha: in cui l'insegnamento che ri-conosciamo, nel saper fare ciò che facciamo, ci mostra, tra l'altro, che abbiamo imparato l'apprendere ad apprendere, se non addirittura come!
E leggo infine dal Zhuang-zi:
"Chi vuol vendicare l'assassinio dei suoi genitori, non spezza le spade Mou e Gan utilizzate dall'assassino; nemmeno una persona rancorosa può avere del risentimento contro la tegola che gli cade addosso".
Un abbraccio