Qualche anno fa, alla Villette, assistevo a una proiezione di un film sulla vita delle propolazioni “primitive”. La proiezione avveniva nella sala della Géode, su uno schemo gigantesco, emisferico e avvolgente, capace di suscitare la sensazione di essere quasi dentro la scena proiettata. Ne risultava, almeno per me, un’impressione fortemente opprimente e destabilizzante sul tema: “da dove siamo venuti; avrei potuto essere lì e allora anch’io” e, insieme, di gratitudine verso i nostri progenitori “eroici” che hanno aperto la strada alla civiltà di cui godiamo le ricchezze e le raffinatezze.
In questo spirito di “risarcimento” verso culture che sono ancora quello che siamo stati, nel giugno 2006, inaugurando il Musée du quai Branly di antropologia, l’allora Presidente della Repubblica Jacques Chirac diceva che “Il s'agissait pour la France de rendre l'hommage qui leur est dû à des peuples auxquels, au fil des âges, l'histoire a trop souvent fait violence. Peuples brutalisés, exterminés par des conquérants avides et brutaux. Peuples humiliés et méprisés, auxquels on allait jusqu'à dénier qu'ils eussent une histoire. Peuples aujourd'hui encore souvent marginalisés, fragilisés, menacés par l'avancée inexorable de la modernité. Peuples qui veulent néanmoins voir leur dignité restaurée et reconnue”.
In queste settimane il Museo ospita una mostra dedicata a una di queste culture dimenticate o trascurate, quella che “consentirà di scoprire, per la prima volta in Europa, l’insieme delle arti eschimesi, privilegiando un percorso tutt’intorno alla calotta glaciale, dalla Siberia all’Alaska” .
Questa mostra può essere anche l’occasione per ricordare e vedere/rivedere il film Nanuk l’eschimese, che nel 1922 Robert Flaherty girò per conto di una compagnia francese che commerciava in pellicce. Flaherty, che aveva lasciato la scuola mineraria del Michigan e stava compiendo delle spedizioni nel Grande Nord, sentì il bisogno di documentare attraverso la vita della famiglia del cacciatore Nanuk, quella degli abitanti della baia di Hudson (Canada). Con questo capolavoro di antropologia e insieme di poesia (film di culto per tutti i frequentatori di cineclub degli anni passati, ora disponibile in DVD) nasceva il genere documentaristico, il cinema-verità, con la realistica celebrazione di un modo di vita spontaneo, semplice e in armonia con uno degli ambienti naturali più avversi. Nanuk, che qualche anno dopo sarebbe morto di fame in una spedizione di caccia sfortunata, ci ha lasciato, insieme ai suoi familiari, sorrisi penetranti e indifesi, e molte occasioni di riflessione sulla vita: impossibile dimenticarli.
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