Come ha già
detto qualcuno, parafrasando Marx, uno spettro s’aggira per l’Europa: il
“populismo”. Può dunque valer la pena di rifare i conti coi termini popolo,
popolare, populismo.
Cosa
s’intende, dunque, per popolo? Se cerchiamo una definizione di questo
termine/concetto nella “classica” Filosofia del diritto di Giorgio Del
Vecchio, troviamo che «per popolo s’intende la moltitudine di persone che
compongono uno Stato», con l’avvertenza che «se però oltre tale vincolo, od
anche senza di esso, esistono altri vincoli naturali di comunanza, abbiamo la
nazione. Tra questi vincoli ci si presenta anzitutto l’origine etnica (per
l’etimologia stessa della parola: natio quia nata), indi la coltura, la
tradizione storica, il costume, il linguaggio, la religione, ecc.». E la
Treccani chiarisce: «Il complesso degli individui di uno stesso paese che,
avendo origine, lingua, tradizioni religiose e culturali, istituti, leggi e
ordinamenti comuni, sono costituiti in collettività etnica e nazionale, o
formano comunque una nazione (indipendentemente dal fatto che l’unità e
l’indipendenza politica siano state realizzate)», per cui, ad es., il popolo
italiano esisteva anche prima della realizzata unificazione politica con la
costituzione del Regno d’Italia. Non possiamo, a questo punto, non ricordare
quel bel passo del De Republica di
Cicerone, per il quale la res publica
coincide con la res populi, dove «popolo poi non è qualsivoglia agglomerato
d’uomini riunito in qualunque modo, ma una riunione di gente associata per
accordo nell’osservare la giustizia e per comunanza d’interessi. La prima causa
poi di siffatto riunirsi non è tanto la debolezza, quanto una specie di istinto
associativo naturale; l’uman genere non è infatti isolato né vagante nella
solitudine, ma generato con carattere tale che, nemmeno in ogni sorta di
abbondanza [e facilità di vita l’individuo potrebbe rimanere isolato]» (De Republica, I, 25, ed. it. a cura di L.
Ferrero e N. Zorzetti; e v. il bel saggio di Michele Coccia, professore emerito
di Letteratura latina nell’Univ. “Sapienza” di Roma, «Aspetti del pensiero
politico di Cicerone», in Leussein, III,
2010, 3, p. 21 ss.). Sarà proprio questo “supplemento d’anima”, come direbbe
Bergson, a conferire a una moltitudine di individui quell’unità capace di
trasformarlo in popolo, per cui si parla anche di “popolo di Dio”, “popolo della
notte”, “popolo dei vacanzieri”, etc.
Popolo è
anche la parte di una comunità che vive in condizioni disagiate, per cui popolare è sì “del popolo” come collettività
(“volontà popolare”, “partito popolare”), ma più spesso indica ciò che è a
vantaggio dei meno abbienti e dotati (“prezzi popolari, “case popolari”). E
“nazional-popolare” è l’espressione gramsciana usata per connotare quelle opere
o gli usi e costumi che dovrebbero essere rappresentativi di tutto un popolo e
contribuire alla coscienza dell’identità nazionale, come, in Italia, potrebbe
essere (o era), ad es., il melodramma.
Venendo,
infine, a “populismo” con questo termine si intende oggi quella prassi politica
in cui un capo carismatico pretende di avere un rapporto diretto con le masse
popolari, di cui interpreterebbe le esigenze e le aspirazioni, ritenute
demagogicamente e indiscutibilmente positive. È evidente che nell’affermarsi
del populismo si esprime la crisi di fiducia nella rappresentanza operata da
partiti, sindacati, associazioni, che implica il conseguente rispetto di tempi,
mediazioni, controlli. Esplicita o implicita è, pertanto, la contrapposizione che
viene a determinarsi tra una presunta purezza popolare e le élite e i parlamenti,
non sempre a torto accusati di costituirsi in caste separate e spesso corrotte.
Nella crisi della rappresentanza democratica è tuttavia ben evidente il pericolo
di aprire, col populismo, la strada a totalitarismi di vario tipo e colore,
come il secolo scorso ha ampiamente mostrato e dimostrato. Ma quella di
populismo rimane una nozione fluida e polisemica, contorta è la storia dei
movimenti così etichettati, incerte le reazioni. Se Flaubert potesse aggiornare
il suo
Dictionnaire des idées reçues forse scriverebbe: «Populisme: on
ne sait pas ce que c'est; tonner contre». Dunque, per saperne di più, può giovare il recente libro di G.
Bolaffi e G. Terranova, Marine Le Pen
& Co., Firenze, goWare e Firstonline, 2014, ove sono passati in
rassegna populisti e neopopulisti, euroscettici, estremisti ultranazionalisti e
via enumerando, con utile corredo anche di grafici e illustrazioni.
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