sabato 17 maggio 2014

Schermaglie#36/Her, di Spike Jonze (2013)


Theodore è uno scrittore per conto terzi di lettere d’amore, di circostanza e d’occasione (rinnovata figura dello scrivano d’altri tempi) che lavorando al computer si appassiona a un nuovo sistema operativo basato sull’intelligenza artificiale. A poco a poco la relazione con Samantha (il nome dell’interfaccia femminile del sistema) si tramuta in un rapporto d’amore. Intanto, l’evoluzione del protagonista prosegue, finalmente affronta il divorzio che aveva sempre rimandato, riflette sulla sua affettività, si ingelosisce delle ulteriori relazioni della sua interfaccia, etc. Poi (per ragioni un po’ misteriose) il sistema (Samantha) si allontana e scompare dal computer, e dalla vita, di Theodore che, ormai più risolto, sembra poter cominciare una nuova relazione con l’amica Amy, anche lei sconsolata per la crisi della sua precedente relazione e per aver perso il proprio sistema operativo.
La lettura a livello di una più palese superficie suggerisce di riflettere sulla incapacità di gestione delle emozioni e delle relazioni in un presente tecnologico (e ancor più nel minaccioso futuro prospettato) , in cui la solitudine aumenta e si tenta di riempirla con vari succedanei delle relazioni “reali”: ma dove risiede il confine da realtà e illusione, tra relazioni “vere” e sogni a occhi aperti? E come sarà l’“educazione sentimentale” nel mondo dominato dai computer, per gli utenti umani e per i sistemi di intelligenza artificiale?
Più nascosto, ma più soddisfacente, per uscire dalla fantascienza (neanche poi tanto fanta-) mi pare il livello metaforico. Quello di Theodore è un percorso che possiamo vedere come percorso psicoterapeutico, in cui seguiamo l’affermarsi del transfert, l’evolversi e la conclusione (l’analisi non può essere “interminabile”, rimando al saggio di Freud). Si potrebbe anche parlare del diverso peso, come nella terapia, dell’approccio verbale e di quello corporeo, ma meglio fermarsi sul personaggio/paziente che ne esce più maturo, forse un po’ più triste, ma più capace di sopportare la (s)ventura di vivere.
Ancora: il sistema Samantha come metafora della nuova femminilità: sempre più indipendente, desiderosa di apprendere dalle inedite esperienze nate con l’ingresso in un mondo prima precluso e che a mano a mano si viene a possedere. Ridefinizione dei ruoli, sofferenza e incertezze, poi si vedrà...
Ottima recitazione, scenografie persuasive, fantascienza credibile. La voce di Samantha è quella di Scarlett Johansson, interprete “celata”, ma di primario rilievo,  che vuole affascinarci, rimanendo, come la donna, inesorabilmente “nascosta” al mondo maschile. In queste relazioni “artificiali” dell’era della comunicazione, la parola e la voce sembrano prendere un incontrastato sopravvento su tutti gli altri rapporti (altra possibile lettura del film!) e, nella crescente inadeguatezza a gestire questi strumenti onnipotenti, forse si farà progressivamente ricorso a figure, come quella del protagonista, che scriveranno al posto di altri, in un gioco di specchi che va a moltiplicare i passaggi di finzione in finzione... 

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