Giustizia, quanto ricorre questa parola! I cittadini chiedono giustizia, un
ministro della giustizia viene “discusso” e sostituito, si deve riformare la
giustizia... Ma che rapporto abbiamo con la giustizia? Questa è per noi sia una
virtù morale, che cerca di riconoscere i diritti altrui dando a ciascuno ciò che
gli è dovuto (suum cuique
tribuere), sia proprietà di un ordinamento sociale. Ci si riferisce spesso a una
Giustizia con l’iniziale maiuscola, ma in che relazione ci poniamo con essa? Chi sono i “giusti” e dove
risiede questa Giustizia?
Per rispondere chiediamo aiuto alla saggezza mitica. Secondo il Protagora di Platone, quando giunse «per
le stirpi mortali il momento fatale della loro nascita», gli dèi ordinarono a
Prometeo e a Epimeteo di distribuire alle specie animali varie facoltà, adatte
alla loro sopravvivenza e utili per sfuggire al reciproco annientamento. Il
malaccorto Epimeteo ottenne da Prometeo di poter fare lui la distribuzione,
lasciando al fratello la supervisione.
Quando si arrivò alla specie umana, Epimeteo si accorse di aver già
speso «tutte le facoltà naturali in favore degli esseri privi di ragione», per cui
«non sapeva cosa fare per trarsi di imbarazzo». Prometeo si accorse che l’uomo
era «nudo, scalzo, privo di giaciglio e di armi» e, nel suo ruolo di progenitore,
benefattore, alleato dell’umanità, provvide rubando la sapienza tecnica di
Efesto e di Atena insieme col fuoco — era infatti impossibile che senza il
fuoco questa potesse essere acquistata o utilizzata da qualcuno — e ne fece
dono all’uomo. Tale sapienza era, tuttavia, relativa al vivere, ma non era sapienza
politica: «questa si trovava infatti presso Zeus, e a Prometeo non era più
permesso di penetrare nell’acropoli, dimora di Zeus». Gli uomini erano così
riusciti a utilizzare la voce e articolare le parole, a produrre molteplici invenzioni,
ma «vivevano sparsi, ché non v’erano città. E perciò erano distrutti dalle
fiere». Sorse così la necessità di collaborare e unirsi in città, «ma, una
volta riunitisi, continuavano a commettere ingiustizie reciproche, dal momento
che non possedevano una tecnica politica, onde nuovamente si disperdevano e
morivano». Zeus, con un intervento gratuito e misericordioso, temendo che l’umanità
andasse incontro alla distruzione, «inviò allora Hermes per condurre tra gli
uomini il rispetto e la giustizia, perché costituissero il fondamento
dell’ordine della città e un legame unificante di amicizia».
Figlia di Zeus (e Temi), che ne imponeva il rispetto agli dèi e agli
uomini, la Giustizia, Dike, è sorella delle Ore (dee dell’ordine della natura)
Irene (= pace) e Eunomia (= ordine), «riesce a sopraffar la violenza», ma
diviene vendicatrice quando sono pronunciati giudizi ingiusti: «Si sente Dike
che strepita, quando viene trascinata là dove la spingono gli uomini divoratori
di doni, giudicando le controversie con la loro perversa giustizia»; allora
Dike li segue «vestita di tenebra, portando agli uomini il malanno, a quelli
che la respingono e non l’amministrano giusta» (Esiodo, Le opere e i giorni, 220 ss.). Vicina agli dèi e a noi non
direttamente accessibile, la Giustizia (con la maiuscola!), dono divino, non è
in nostro dominio e può essere pertanto solo idea regolativa, orientamento, guida:
per questo, dobbiamo diffidare di coloro (sedicenti “giusti”, giustizieri e
giustizialisti) che ritengono di poter instaurare o, peggio, di avere già instaurato
un mondo di giustizia nel limitato e ingiusto mondo finito. Tale presunzione allontana
dall’opera umana di affermazione, per piccoli e concreti passi, dell’insieme dei
valori, tra i quali si collocano quelli di compassione, rispetto, benevolenza, e
che ci fanno uscire da quel perverso legame tra menzogna e terrore che ha caratterizzato
gli sterminî giacobini e quelli dei totalitarismi del Novecento. Per una
spiritualità del finito non c’è la “grande bellezza”, ma particolari
determinate armonie; non c’è la verità assoluta, ma concrete e limitate
conoscenze; non c’è il mondo giusto, ma precise e circoscritte azioni morali: considerando
il corso dei secoli è proprio la somma di tali azioni, limitate ma efficaci e
non i perniciosi furori degli utopisti, che può attestare la lenta evoluzione che
l’umanità ha compiuto, cercando di passare, sia pure con molteplici
regressioni, dall’età del ferro a quella del... verbo. La fede nella giustizia (minuscola!)
non poggia, pertanto, su Verità assolute o su presunte leggi della storia, ma
scaturisce dalla forza invincibile del sentimento di libertà, equità,
riconoscimento, che risiede nei nostri cuori, ci consente di dire, con
l’Evangelista, Videbam Satanam sicut
fulgur de caelo cadentem (Lc 10, 18) e vedere i violenti, mercenari, monatti,
delatori, prepotenti e impostori, come ormai già caduti...
1 commento:
Molto bello!
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