I giganti della montagna
è l’ultima opera di Luigi Pirandello, che vi lavorò fino all’ultimo giorno
della sua vita (morirà di polmonite il 10 dicembre 1936). Il dramma rimase
incompiuto; il terzo atto, l'ultimo, non fu mai scritto, ma il figlio di Pirandello, Stefano, ne
tentò una ricostruzione sulla base di quanto il padre gli aveva detto riguardo alla conclusione dell’opera.
La storia è quella di una compagnia,
o meglio dei resti di una compagnia, di Comici, che si porta a una misteriosa
villa occupata dagli Scalognati, teatranti anch’essi, che cercano di respingere
i nuovi arrivati spaventandoli con ogni mezzo (teatrale). Ma i Comici, guidati
dalla “contessa” Ilse, la prima-attrice che a tutti i costi vuole rappresentare
La favola del figlio cambiato,
un’opera di Pirandello (ispirata a leggende e superstizioni siciliane sulle
streghe che sostituiscono o deteriorano i bambini), ma che, nei Giganti, sarebbe stata scritta da un
poeta respinto dalla contessa, poi suicidatosi: rappresentarla è per lei un
testamento poetico da eseguire. Gli Scalognati, gente di teatro che vive in un
mondo magico dove la fantasia e l’arte sono sovrane («Ci vogliono i poeti per
dare coerenza ai sogni»), si coinvolgono e vorrebbero far rappresentare il
dramma conducendo i Comici dai Giganti della montagna, gli uomini del fare, del
produrre, presi solo da interessi materiali. I Giganti accettano e finanziano
(hanno i soldi per farlo!), ma non hanno interesse, neppure assistono alla
rappresentazione, alla quale tuttavia inviano i loro dipendenti, i quali non
capiscono e non apprezzano. Ne segue una rissa, Ilse muore vittima del suo impegno
per l’arte e con lei muore la poesia che si scontra col rifiuto degli uomini
“materialisti”.
L’opera è enigmatica e si presta a
molti livelli di analisi. Qui basterà soffermarsi sull’illusione democraticistica
di portare la poesia a tutti, cedendo al sogno che così si possa illuminare e cambiare
la vita. La nostra cultura si è preoccupata prevalentemente della costruzione
di una democrazia universale e ha avuto troppo timore di parlare di
aristocrazia, ma la democrazia didattica non dovrebbe andare disgiunta dall’aristocrazia
del sapere, ricordando che l’esigenza dell’aristocrazia è stata ben presente anche
nelle religioni (con i monaci) o nei partiti che avrebbero voluto essere i più
egualitari (élite politica) e nelle varie forme d’arte (che richiedono talento
e dura disciplina formativa). Cito una fonte non sospetta, A. Camus, che
nei suoi Taccuini scriveva: «Ogni società si fonda sull’aristocrazia,
perché essa, se è tale, è esigenza nei confronti di sé stessa, e senza questa
esigenza ogni società muore».
Strehler si è cimentato più volte con I giganti della montagna e nell’edizione
del 1994-95 (con Andrea Jonasson nel ruolo di Ilse) ha dato il massimo per
rendere credibile, avvincente e “comprensibile” una tematica evanescente e
misteriosa. Un sipario metallico chiude l’edizione del 1995 del Piccolo Teatro,
schiacciando il simbolico carretto (che tanto a lungo ha accompagnato i teatranti
girovaghi) dei Comici, raffigurazione del fallimento dell’offerta della poesia
a chi non la vuole ricevere.
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