Il titolo, nella sua enigmaticità, viene da lontano ed è una
frase molto usata — con varianti — dal regista (scomparso giorni fa): egli la ripete ai produttori curioso
di vedere il film quando questo non è ancora montato e finito; la diceva il
protagonista «Non hai visto niente a Hiroshima» in Hiroshima, mon amour; è una forma di omaggio all’amato Al Jolson
che cantava nel primo film sonoro della
storia del cinema la canzone Vous n’avez
encore rien entendu; è infine un modo di stupirci, nel senso che ogni film vuole
essere qualcosa di assolutamente nuovo...
Cosa c’è di “nuovo” in questo Vous n’avez encore rien vu? Resnais ci racconta che Antoine
d’Anthac, uomo di teatro fa telefonare da un notaio agli attori (tutta la
“famiglia” cara a Resnais: Sabine Azéma, Pierre Arditi, Lambert Wilson...) per
dir loro che d’Anthac è morto e che sono invitati nella sua residenza di
montagna a visionare una registrazione dell’Euridyce
di Jean Anouilh, dramma che tutti, in diverse versioni, hanno recitato. In
una pirandelliana contaminazione tra realtà e teatro, vita e “finzione” scenica
si sovrappongono e si confondono.
Alla fine, colpo di teatro, Antoine d’Anthac comunica che si
è trattato di uno scherzo: lui non è morto e tutti possono far festa, contenti
di ritrovarsi insieme. Ma, poco dopo lui morirà davvero e questa volta la
“famiglia” si ritroverà al cimitero.
Perché cimentarsi col mito di Orfeo? Come tutti i miti anche
questo è polisemico e non è possibile addentrarsi qui nelle diverse versioni e
interpretazioni. Tuttavia, è il tema del tempo, sottolineato dal movimento di
un pendolo, della sua irreversibilità e della morte l’aspetto sul quale il
regista si è più interrogato. Con un altro riferimento mitico, alla storia di
Tristano e Isotta, viene sostenuto che l’amore assoluto, e tutti gli assoluti
che non possiamo realizzare, si raggiunge solo nella morte. Orfeo voltandosi
ribadisce che ciò che è accaduto non si può cancellare: dovrà morire anche lui
se vorrà ritrovare Euridice, perché questo non è possibile rimanendo in vita. E,
infatti, Orfeo troverà la morte per mano delle donne (Mènadi) irate con lui,
per i suoi rifiuti del sesso feminile: con la morte Orfeo «ritrova Euridice e
la stringe in un abbraccio appassionato. [...] e, ormai senza paura, si volge a
guardare la sua Euridice» (Ovidio). Poesia? Illusione? La morte non risolve, ma
dissolve, insieme al soggetto, i problemi e i conflitti, cioè la vita, in cui
trovano posto amore e dolore. Il saggio padre di Orfeo (qui Michel Piccoli),
cerca di convincere il figlio che la vita sta nell’onesto mangiare e nel
fumarsi un buon sigaro (e si intitola Aimer, boire
et chanter l’ultimo film di Resnais, del 2014, non ancora
uscito), ma Orfeo non ascolta: inseguendo un mondo puro, luminoso e limpido si
ostina a cercare ancora l’amata. Come gli dice Monsieur Henri, lui è di quelli
che hanno sete di eternità e nostalgia del primo bacio, ma sono spaventati
perché sanno che ciò non durerà, perché l’amore finirà, in ogni caso, per
esaurimento. Come Euridice è morta e non si può “riconquistare”, così è morto
il passato degli attori convocati per la proiezione, così deve morire d’Anthac,
che ha convocato gli amici per verificare se gli volevano bene e per valutare
se vale ancora cimentarsi con Euridice: e le risposte sono tutt’e due positive.
La morte è morte ed è più forte dell’amore; solo per gioco si può risuscitare,
ma poi prevale la inesorabilità degli eventi.
Alain Resnais ci dice Vous
n’avez encore rien vu: a noi spettatori si richiede uno sforzo di
attenzione e di riflessione per non uscire dalla proiezione dovendo confessare
di “non aver ancora visto niente”.
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