Una maestra che si suicida e alcuni
bambini che la vedono ancora impiccata nell’aula dove fanno lezione: una
profonda ferita nella maggior parte di loro, sensi di colpa, interrogazioni silenziose sulla vita degli adulti.
L’elaborazione del lutto mette al
lavoro preside, insegnanti, psicologi, ma forse quello che dà un vero aiuto a risolvere
la situazione è l’arrivo, come supplente, di Monsieur Lazhar, un “rifugiato” in
Canada dall’Algeria. Lazhar ha perso tutta la sua famiglia in uno dei tanti
attentati che si verificavano/si verificano nel suo Paese; è fuggito e ora le
ferite che ha subito, la solitudine, il timore dell’espulsione lo
mettono in condizione di costruire un vero rapporto con gli alunni, nonostante i
vincoli dati dai nuovi tabù pedagogici (pedofilia, rispetto dei diritti e della
privacy che impongono di trattarli quasi “come scorie radioattive”). Sulla base
della reciproca fiducia è possibile così affrontare senza rimozioni anche il
tema della morte e della precarietà della condizione umana, superando — almeno
per frammenti — gli ostacoli posti dalla rigidità della scuola e delle famiglie alla
comunicazione e all’educazione affettiva. Un abbraccio vale a volte molto più di un discorso, ma in quali circostanze può essere permesso?
Tutto questo in un film (del canadese
Philippe Falardeau, 2011), se non straordinario certamente non-ordinario, che
sa essere insieme drammatico e lieve, ben condotto e recitato in modo
eccellente.
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