È uno dei più interessanti film dell’esilio americano di Fritz Lang e potrebbe intitolarsi, come il libro di Yehoshua Abraham, Il potere terribile di una piccola colpa.
Si narra di un integerrimo professore di criminologia che precipita, per una piccola smagliatura nella rete dei suoi controlli comportamentali, in un terribile gorgo di delitti e ricatti fino al tentato suicidio. Un impeccabile Edward G. Robinson e una perfetta Joan Bennet sono gli interpreti pricipali, diretti dal regista con compiuta maestria.
Rompendo il sottile diaframma che separa l’innocenza dalla colpa, Lang bersaglia e turba l’inconscio dello spettatore che, tra suspense e casualità, viene cattuato dalla implacabile concatenazione degli eventi, avverte di correre o avere già corso gli stessi rischi del protagonista e, prendendo contatto coi suoi desideri repressi e le sue paure di punizione, si ritrova angosciato e colpevole. Sono i vissuti psicopatologici che caratterizzeranno trionfalmente la produzione di Hitchcock.
Rompendo il sottile diaframma che separa l’innocenza dalla colpa, Lang bersaglia e turba l’inconscio dello spettatore che, tra suspense e casualità, viene cattuato dalla implacabile concatenazione degli eventi, avverte di correre o avere già corso gli stessi rischi del protagonista e, prendendo contatto coi suoi desideri repressi e le sue paure di punizione, si ritrova angosciato e colpevole. Sono i vissuti psicopatologici che caratterizzeranno trionfalmente la produzione di Hitchcock.
Con gentilezza, Lang alleggerisce la situazione introducendo la dimensione onirica che gli permette di creare anche un piccolo capolavoro formale: l’inquadratura del protagonista vicino al trapasso suicidale che si trasforma in quella in cui egli viene svegliato dal valletto del club. L’io si ridesta e riprende il controllo della situazione, tanto che, nella piccola catarsi finale, è concesso perfino un tocco di comicità.
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