L’Arca russa (2002) è uno dei film più noti del regista russo Aleksandr Nicolaevič Sokurov, considerato un continuatore dell’opera di Tarkovsky. Dapprima “prigioniero” all’interno dell’URSS, la sua opera dalla fine degli anni Ottanta ha potuto essere progressivamente conosciuta e a Parigi è in programma una retrospettiva della sua produzione. Regista elegiaco, nostalgico, introspettivo, nell’Arca russa un inivisibile regista contemporaneo si trova all’interno del Museo dell’Ermitage (a San Pietroburgo, già reggia imperiale) ove accompagna un diplomatico francese dell’Ottocento in una visita-confronto tra il presente del museo e le opere e i personaggi del passato. La rivisitazione dello splendore della Russia zarista si conclude con una straziante uscita dal Palazzo delle centinaia di attori e comparse in costume che si avviano verso il nulla, concludendo così l’ininterrotto ed eccezionale piano-sequenza che costituisce il film (un’unica sequenza della durata di 90 min, che abbraccia tutto il contenuto in solo, angoscioso respiro!). Il film è una riflessione sulle aristocrazie, il loro splendore, la loro fine, il loro succedersi e tramutarsi: aristocrazia come perfezione (o, almeno, rappresentazione della perfezione!) nel linguaggio e nel gesto, negli sguardi e nelle stoviglie, nel vestiario e nella condotta, in tutto ciò che eleva il biologico alla dignità della coscienza. La Russia distrusse la sua aristocrazia nel XX secolo e, dopo il Terrore, tentò di ricostruirne un’altra, ma il suo bonapartismo imperfetto travolse anche quella che stava nascendo, violenta nell’apparato militare e sanguinaria nell’apparato burocratico-partitico. È finita come sappiamo. E ora? E noi? Voglio concludere, per continuare a riflettere, citando una fonte non sospetta, A. Camus, che nei Taccuini scriveva: «Ogni società si fonda sull’aristocrazia, perché essa, se è tale, è esigenza nei confronti di sé stessa, e senza questa esigenza ogni società muore».
3 commenti:
La scena finale del film è veramente straziante e bellissima.
If content is king, technology is queen: l'unico piano sequenza è stato possibile grazie a una telecamera digitale sony realizzata appositamente e a un hard drive che poteva contenere 100 minuti di girato senza compressione. Tecnologia all'avanguardia per il 2002.
L'ho visto! Sono dovuta risalire di un paio di ere nella mia storia psicoillogica - avevo 25 anni - ma ora ricordo! Quando uscì nelle sale, mi precipitai a vederlo, spinta dalla passione per i film in costume e dal bisogno di rimediare alla conseguenza della mia allergia ai musei: il drammatico decadimento delle mie conoscenze in campo artistico, pur generosamente trasfuse dalla professoressa d'arte del liceo.
Ne uscii profondamente colpita dalla bellezza e dalla complessità dello sguardo e dell'idea. Dirompente l'effetto della rappresentazione nella rappresentazione.
Ringrazio per l'apertura sulla riflessione intorno ai cicli vitali dell'aristocrazia e al suo ruolo fondamentale all'interno dei sistemi sociali, in quanto rappresentazione di una tensione alla perfezione. Non avrei mai pensato di poterla considerare una classe con un valore fondante rispetto ad ogni società! E mi sfuggono le conseguenze di tutto ciò!
Sì; per questo mi chiedevo e ora e noi? Cosa spetta a noi? Oggi credo che noi si debba:
lavorare con disciplina e generosa umiltà, orgogliosi di contribuire alla costruzione di una possibile futura aristocrazia di cui ignoriamo la fisionomia;
conservare, al modo dei “compilatori” bizantini;
godere dei frammenti di perfezione che ci è dato incontrare;
rimanere in attesa…
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