venerdì 2 aprile 2010

L'uomo totale o completo#3

Per Eliade, homo religiosus e “uomo totale” sono sinonimi («l’homo religiosus rappresenta l’uomo totale», Nostalgia, p. 20), perché l’uomo nella totalità delle sue dimensioni, insieme storico e transtorico, è proprio l’homo religiosus. Eliade «non circoscrive il suo studio all’esperienza religiosa, ma cerca di concepire e di comprendere quest’uomo nella totalità della condizione umana [e] nei suoi sforzi intesi a trascendere la propria condizione e a prendere contatto con la Realtà ultima […] per situarsi in mondo che abbia un significato» (J. Ries, Opere, III, p. 14 ss.). È, pertanto, alla scienza delle religioni, disciplina totale, che Eliade assegna il compito di studiare l’uomo nella sua totalità: «Riteniamo utile ripetere che l’homo religiosus rappresenta l’“uomo totale” e quindi la scienza delle religioni deve divenire una disciplina totale nel senso che deve usare, integrare e articolare i risultati ottenuti attraverso i vari metodi di avvicinamento ad un fenomeno religioso. Non è sufficiente afferrare il significato di un fenomeno religioso di una certa cultura e di conseguerna decifrarne il “messaggio” (poiché ogni fenomeno religioso costituisce una “cifra”); è necessario anche studiarne e comprenderne la “storia”, cioè dipanare la serie dei suoi mutamenti e delle sue modifiche e, infine, spiegare il suo contributo all’intera cultura» (Nostalgia delle origini, p. 20). «La storia delle religioni non è unicamente una disciplina storica, come per esempio l’archeologia o la numismatica. È anche un’ermeneutica totale, perché chiamata a decifrare e spiegare ogni tipo di incontro dell’uomo con il sacro, dalla preistoria ai nostri giorni» (ivi, p. 73). Anche se ci troviamo di fronte al fenomeno della moderna desacralizzazione, per Eliade «l’“uomo totale” non è mai del tutto desacralizzato e addirittura è dubbio che ciò sia mai possibile. A livello della vita cosciente, la secolarizzazione ha molto successo […], ma nessun uomo normale e dotato di vitalità può essere ridotto alla propria attività conscia e razionale, dato che l’uomo moderno sogna ancora, s’innamora ancora, ascolta la musica, va a teatro, guarda film, legge libri,vive insomma in un mondo storico e naturale ma anche in un mondo privato, esistenziale, e in un universo immaginario. È anzitutto lo storico e studioso di fenomeni religiosi che può riconoscere e decifrare le “strutture” religiose e i significati di questi mondi privati e universi immaginari» (ivi, p. 10).

Per l’uomo religioso delle società arcaiche «si constata che il Mondo esiste perché è stato creato dagli dèi, e che l’esistenza stessa del Mondo “ha” un significato, che il Mondo non è muto né opaco, non è una cosa inerte, senza scopo e senza senso. Per l’uomo religioso il Cosmo vive e parla. La vita stessa del Cosmo è una prova della sua santità, poiché è stato creato dagli dèi i quali si rivelano agli uomini attraverso la vita cosmica. Per questo motivo, da un determinato grado della cultura in avanti, l’uomo si considera un microcosmo. Fa parte della Creazione degli dèi; in altre parole ritrova in sé stesso la “santità” che trova nel Cosmo. Ne consegue che la sua vita è identificata alla vita cosmica: mentre questa in quanto opera divina, diventa l’imagine esemplare dell’esistenza umana». C’è una sacralità che possono assumere tutte le sue funzioni vitali, una funzione biologica, un comportamento non è mai un atto soltanto fisiologico o un modo di fare, un’abitudine, ma diventa «un sacramento, una comunicazione con il sacro», perché «l’esistenza dell’homo religiosus è “aperta” al Mondo; l’uomo religioso, vivendo, non è mai solo, perché una parte del Mondo vive in lui». Mentre «il Cosmo, per gli uomini moderni privi di religiosità, è divenuto opaco, inerte, muto: non trasmette alcun messaggio, non è portatore di alcun mistero» (140), e «tutte le esperienze vitali, dalla sessualità all’alimentazione, dal lavoro al gioco, sono state desacralizzate [e] ognuno di questi atti atti fisiologici è stato spogliato di qualsiasi significato spirituale e quindi della dimensione veramente umana» (132), per l’uomo religioso, attraverso una serie di identificazioni antropocosmiche, che identificano l’uomo e l’Universo, si può realizzare, invece, una sacramentalizzazione della vita corporea, per cui le principali funzioni fisiologiche sono suscettibili di diventare dei sacramenti e ogni esperienza è trasfigurata e vissuta su un piano transumano (cfr. S&P, pp. 21 e 130 s.).

Un passo ulteriore, in questo processo di corrispondenze micro-macrocosmiche, le identificazioni antropo-cosmiche permettono un rapporto-con o la realizzazione-della Totalità nel superamento degli attributi, che caratterizzano il mondo finito, attraverso la loro “totalizzazione”: ogni separazione dicotomica porta in sé la possibilità di integrazione e mette a disposizione strumenti per una possibile integrazione. «La coincidentia oppositorum o la trascendenza di tutti gli attributi, sono realizzabili per l’uomo in ogni sorta di modi. Così l’“orgia” la presenta al livello più elementare della vita religiosa: non simboleggia forse la regressione nell’amorfo e nell’indistinto, riacquistando uno stato nel quale tutti gli attributi si aboliscono e i contrari coincidono? Ma ecco, d’altra parte, che lo stesso insegnamento si decifra nell’idea del saggio e dell’asceta orientale; egli, con le sue tecniche e i suoi metodi contemplativi, mira a trascendere radicalmente tutte le qualità, quale che sia la loro natura. L’asceta, il saggio, il “mistico” indiano o cinese si sforza di sopprimere dalla sua esperienza e dalla sua coscienza gli “estremi” d’ogni specie, di raggiungere cioè uno stato di neutralità e di indifferenza perfette, farsi impermeabile al piacere e dolore, ecc., diventare automa. Questo superamento degli estremi mediante l’ascesi e la contemplazione termina anch’esso nella “coincidenza dei contrari”; la coscienza di un tal uomo non conosce più conflitti, e le coppie di contrari — piacere e dolore, desiderio e repulsione, freddo e caldo, piacevole e sgradevole, ecc. — sono scomparse dalla sua esperienza; contemporaneamente una “totalizzazione” avviene in lui, che corrisponde alla “totalizzazione” degli estremi in seno alla divinità. D’altronde, […] nella prospettiva orientale, la perfezione non è concepibile senza un’effettiva totalizzazione dei contrari. Il neofita comincia tentando di “cosmizzare” tutta la sua esperienza, assimilandola ai ritmi che dominano l’Universo (Sole e Luna), ma, una volta ottenuta questa “cosmizzazione”, volge tutto il suo sforzo a unificare il “Sole” e la “Luna”, cioè ad assumere il Cosmo tutto intero; rifà in sé e per proprio conto l’unità primordiale precedente la Creazione; unità che non significa il caos della pre-creazione, ma l’essere indifferenziato nel quale tutte le forme sono riassorbite» (Trattato, p. 434 s.).

Infine, evidenziando la coerenza, la permanenza, la perennità unite alla craetività delle idee religiose nella storia spirituale («l’unità fondamentale dei fenomeni religiosi e nello stesso tempo l’inesauribile novità delle loro espressioni», Storia delle credenze e delle idee religiose, I, p. 9), si possono, secondo Eliade, rivelare aspetti essenziali della condizione umana e giungere alla «creazione di nuovi valori culturali» che orientino verso un nuovo umanesimo. Come egli stesso rievoca, studiando il Rinascimento italiano e aprendosi poi all’Oriente, sognava di raggiungere un modello di uomo universale: «Più significativo è il fatto stesso di aver scelto l’India come campo principale delle mie ricerche, proprio nel momento in cui studiavo, in Italia, il Rinascimento italiano. In un certo modo potrei perfino affermare che per il giovane che ero l’orientalismo costituiva in fondo una nuova versione del Rinascimento, la scoperta di nuove fonti e il ritorno a fonti abbandonate e dimenticate. Forse, senza saperlo, ero in cerca di un nuovo umanesimo, più vasto, più audace dell’umanesimo del Rinascimento troppo dipendente dai modelli del classicismo mediterraneo. Forse anche avevo compreso, senza rendermene conto chiaramente, la vera lezione del Rinascimento: l’ampliamento dell’orizzonte culturale, e la situazione dell’uomo riconsiderata in una più vasta prospettiva. A prima vista, che cosa c’è di più lontano dalla Firenze di Marsilio Ficino che Calcutta, Benares, il Rishikesh? Eppure, io mi trovavo laggiù perché, proprio come gli umanisti del Rinascimento, non mi accontentavo di un’immagine provinciale dell’uomo e in fondo sognavo di ritrovare il modello di un “uomo universale”» Giornale, tr. it., Torino, Boringhieri, 1976, sett. 1957, p. 185). La successiva formulazione della “ermeneutica creativa” doveva portarlo a dare corpo e a precisare la fisionomia di questo uomo totale/universale: «Una ermeneutica creativa rivela significati che prima non erano afferrati o li mette in rilievo con tanto vigore che, dopo aver assimilato questa nuova interpretazione, la coscienza non è più la stessa. Alla fine, l’ermeneutica creativa cambia l’uomo: è più che una istruzione, è anche una tecnica spirituale suscettibile di modificare la qualità stessa dell’esistenza. […] Spero che il risultato di un confronto tra il moderno uomo occidentale e sconosciuti o meno noti mondi di significato possa far scaturire ciò che potremmo definire un “nuovo umanesimo”» (Nostalgia, p. 76 e 10 s.). L’uomo totale assume così l’ulteriore significato di uomo universale.

Riassumendo, carattere fondamentale dell’esistenza è quello di essere solo e separato dal mondo, per cui, incapace di sopportare tale separazione e disarmonia, è spinto a perseguire la relazione e l’unità, passando (potremmo dire per la legge dell’enantiodromismo e coerentemente con la dottrina buddhista dei 10 mondi) dall’egocentrismo fondato sul principium individuationis all’emergere dei bisogni unitivi come superiore affermazione della vita stessa (riconoscimento, empatia, solidarietà autorealizzativa, anelito alla Totalità), per cui i vari significati assunti dall’espressione “uomo totale” o “completo” sono quelli di:

uomo nella totalità delle sue dimensioni,

uomo la cui vita è santificata nella sua totalità,

uomo che si rapporta all’Assoluto o al Mondo nella sua totalità,

uomo universale come espressione dell’unità strutturale dell’umanità (sulla “piena” autorealizzazione e i bisogni specificamente umani, v. E. Fromm, Dalla parte dell’uomo e Psicanalisi della società contemporanea; A. Catemario, La contraddizione culturale nelle società complesse: l’etica universale; R. Venturini, Coscienza e cambiamento, una prospettiva transpersonale).

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