In ossequio alla regola dettata da san Paolo (I Cor. 14, 34), che non consentiva alle donne di parlare nelle assemblee, divenuta poi divieto anche di apprendere la musica e di farsi impiegare come cantanti (Clemente IX), le voci femminili si trovarono bandite dalla musica sacra e anche dai teatri romani per alcuni secoli. Di qui l’impiego, per le voci di soprano, dei ragazzi castrati prima della “muta” della voce e avviati allo studio della musica e del cantos. L’Italia e Napoli, in particolare, furono i luoghi di “produzione” di questi martiri. Nel periodo in cui fioriva la scuola del grande maestro Antonio Porpora (1686-1768), che ebbe come allievi i più celebri tra gli evirati cantori: Farinelli, Caffarelli, Salimbeni, Appiani, Porporino, nella sola Napoli ne venivano “prodotti” varie migliaia all’anno, spinte le famiglie indigenti dal desiderio di alleggerirsi del peso di un figlio e dalla speranza di ricchi profitti. Se il ragazzo “riusciva”, gli si apriva una vita di successi e di ricchezze, ma a tutti gli altri restava una vita grama e la via della prostituzione. Il tutto mentre la pratica era formalmente proibita, da cui i dispositivi di menzogna, che mascheravano come accidentale (cadute, morsi di animali, errori medici, etc.) ciò che era intenzionale.
Nei confronti di questo canto perduto si è prodotto, nel tempo, un duplice orientamento, a seconda che la voce dei “castrati” sia stata considerata ineguagliabile o, viceversa, solo un insoddisfacente rimpiazzo della voce femminile. La nostalgia di quelle voci che possiamo solo a fatica immaginare (le uniche registrazioni risalgono agli inizi del Novecento, quando l’ultimo “castrato” della Sistina, Alessandro Moreschi, 1856-1922, era ormai avanti con gli anni e le tecniche di registrazione poco evolute) ha fatto sì che vari tenori falsettisti o mezzosoprani-contralti si siano prodotti nel repertorio del barocco, come Aris Christofellis e Philippe Jaroussky o Nella Anfuso e Vivica Genaux. Da ultima, ha affrontato questa sfida Cecilia Bartoli, al sommo della sua carriera, con un risultato inguagliabile (disco dal tit. Sacrificium). Dice ella stessa, in proposito: “Sicuramente è stato un sacrificio affrontare questo repertorio! Una grande sfida per una donna. I castrati avevano voci femminili ma potenti, perché erano pur sempre uomini, con una capacità polmonare e un controllo del fiato assai più estesi. Farinelli cantava venticinque battute senza respirare. I castrati passavano da registri bassi a registri alti facendo salti di quindici note, veri fuochi d'artificio vocali. Insomma, ci ho messo vent'anni a prepararmi tecnicamente per questo disco, che per 80 minuti presenta un repertorio mai inciso prima. E in più, cantando questi pezzi, ho vendicato le povere donne ammutolite dalla Chiesa, alle quali fu rubata all'epoca questa musica”.
Sacricium, nella “Edition de luxe” (pubbl. dalla Decca), ha i due CD accompagnati da un album di 100 pag., con un Compendiun (in ingl., fr., ted.) storico su figure, luoghi e tecniche (musicali e... chirurgiche): irresistibile!
Per gli interessati, segnalo, oltre ai dischi dei cantanti citati, i vol. Storia del belcanto, di R. Celletti, e Gli evirati cantori, di P. Barbier, nonché il film Farinelli, il Castrato, di Gérard Corbiau, con CD (Auvidis) della colonna sonora.