Non mi riferisco all’inizio d’estate che stiamo vivendo in questi giorni, ma al film di Yasujiro Ozu, che ha per titolo Bakushu (più letteralmente, “Tempo della raccolta dell’orzo/grano, all’inizio dell’estate”). È uno dei più belli di Ozu, centrato sulla storia delle preocupazioni familiari per una figlia in età da marito, tema ricorrente nei film del Maestro giapponese. Ma la storia è solo un pretesto per la sofferta contrapposizione tra modernità e tradizione nel Giappone del dopoguerra e, ampliando ancora lo sguardo, per presentarci una commossa visione del lento fluire delle cose, l’impermanenza e lo svanire di tutto. “Mu” (nulla) è scritto sulla tomba di Ozu e i suoi film esprimono alla perfezione la poetica del “mono no aware” (il pianto delle cose). In una visione calma e distanziata la realtà è vista nel suo fluire e quello che resta immobile è la rappresentazione, la forma nella quale il cambiamento si produce, il consapevole sguardo unificante in cui bene e male tendono a fondersi. Potremmo parlare di un “effetto cornice” all’interno della quale si vede il passare del tempo e degli eventi inevitabili, delle separazioni all’interno della famiglia, luogo elettivo di rinunce e distacchi: la fotografia che viene ripresa prima della dispora della famiglia Mamiya diviene il simbolo di questa eternità del racconto dell’impermanenza. Non c’è depressione, ma la malinconia e anche il pianto di questi martiri del quotidiano, che assistono con dignitosa umiltà al manifestarsi dello shikata-ga-nai: l’ineluttabile.Tra le immagini ricorrenti nei film di film di Ozu (biancheria, ciminiere, tazze...) ci sono sempre treni (come ha ben visto e mostrato il regista taiwanese Hsiao-Hsien, autore del Café Lumière, film da lui realizzato in omaggio a Ozu, v. qui in data 19 settembre 2008), perché il treno è il vicino simbolo dell’altrove, del luogo ideale da cui può venire uno sguardo “altro” sulla realtà.
Ozu si definiva “venditore di tofu”: esprimeva così l’umiltà di chi sa elevarsi all’altezza del proprio destino.
[Il film prende come scenario significativo l’atmosfera naturale e religiosa di Kamakura (che ospita la statua del grande Buddha Amida), da lui amata e dove aveva comprato una casetta. A Kamakura (a Kita-Kamakura, Kamakura-Nord) risiedeva e scriveva D. Suzuki, l’autore dei tanti libri che ci hanno rivelato il buddhismo giapponese]
(Kamakura: proporzioni
e umiltà; foto RV, autoscatto)
1 commento:
namu shakyamuni daibutsu!
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