Blog: un’occasione per parlare di sé ma non per sé, un tentativo di arginare lo spreco di esperienze, pensieri, emozioni, offrendone qualche frammento e fidando sul potenziale di universalità che è in ognuno; per riannodare fili, stabilire legami; come mani, parole tese verso…
venerdì 8 maggio 2009
Modi di dire#1/Baciapile
(su richiesta) Pila è la vaschetta per l'acqua benedetta presente nelle chiese. Baciapile è chi, baciando le acquasantiere, vuole ostentare la propria devozione.
La ritualità aiuta a rafforzare l'identità personale e collettiva (esempio nel Cattolicesimo: il battesimo, la messa, il segno della pace, ecc.). Esiste una ritualità del/nel Buddhismo? (mari)
Non è facile rispondere in breve a questa domanda perché ci sono molti presupposti che andrebbero chiariti/condivisi. Il termine rito assume, infatti, sensi differenti a seconda del contesto in cui viene adoperato. La biologia ci parla di ritualizzazioni negli animali riferendosi alla formalizzazione di comportamenti con forti connotazioni emotive, la psichiatria si occupa di riti nevrotici, la vita pubblica secolarizzata conosce cerimonie, commemorazioni, inaugurazioni che vengono spesso detti riti per sottolinearne negativamente l’aspetto puramente formale e la scarsità di significato, etc.: il denominatore comune per tutti questi esempi sembra potersi individualre nel trattarsi di azioni svolte secondo norme codificate. Ma il rito è soprattutto una delle dimensioni fondamentali delle religioni. Una volta che si sia preliminarmente proceduto a una separazione del sacro dal profano, i riti si presentano come un insieme di procedure attraverso le quali viene gestito il legame tra mondo umano e mondo sacro, per assicurare sia una corretta separazione tra i due (con riti “negativi”: interdizioni, tabu, purificazioni, confessione di peccati...) sia una partecipazione/comunicazione (con riti “positivi”: preghiere, offerte, sacrifici...). Nel buddhismo viene a mancare proprio questa premessa dualistica fondamentale (il Nirvana coincide col samsara!), non si può parlare di un culto di divinità (riti cultuali) perché, come di dice, il b. è una religione senza divinità, non ci sono figure sacerdotali... Dunque, non ci sono riti oppure tutto può essere considerato rito perché se nulla è sacro tutto è sacro. In un senso meno forte, sono tuttavia presenti cerimonie rigorosamente strutturate, ripetizioni simboliche di eventi o insegnamenti, festività ed altro con valore identitario e di coesione sociale, diversi da comunità a comunità. In Giappone, ad es., sono presenti festività molto popolari come quella dell’8 aprile (nascita di Buddha), recitazioni collettive di sutra o mantra, cerimonie di addio per gli oggetti dismessi, pratiche estetico-mistiche (note in Occidente come “arti zen”), meditazioni di gruppo e soprattutto funerali. La tradizione tibetana o vajirayana è quella in cui si riscontra la maggiore ricchezza di pratiche “liturgiche” più simili a quelle di altre tradizioni religiose. Nei Paesi occidentali la festività del Vesak (in Italia, ultima domenica di maggio) riassume in sé molti degli eventi della vita di Buddha (nascita, illuminazione e morte).
2 commenti:
La ritualità aiuta a rafforzare l'identità personale e collettiva (esempio nel Cattolicesimo: il battesimo, la messa, il segno della pace, ecc.). Esiste una ritualità del/nel Buddhismo? (mari)
Non è facile rispondere in breve a questa domanda perché ci sono molti presupposti che andrebbero chiariti/condivisi. Il termine rito assume, infatti, sensi differenti a seconda del contesto in cui viene adoperato. La biologia ci parla di ritualizzazioni negli animali riferendosi alla formalizzazione di comportamenti con forti connotazioni emotive, la psichiatria si occupa di riti nevrotici, la vita pubblica secolarizzata conosce cerimonie, commemorazioni, inaugurazioni che vengono spesso detti riti per sottolinearne negativamente l’aspetto puramente formale e la scarsità di significato, etc.: il denominatore comune per tutti questi esempi sembra potersi individualre nel trattarsi di azioni svolte secondo norme codificate. Ma il rito è soprattutto una delle dimensioni fondamentali delle religioni. Una volta che si sia preliminarmente proceduto a una separazione del sacro dal profano, i riti si presentano come un insieme di procedure attraverso le quali viene gestito il legame tra mondo umano e mondo sacro, per assicurare sia una corretta separazione tra i due (con riti “negativi”: interdizioni, tabu, purificazioni, confessione di peccati...) sia una partecipazione/comunicazione (con riti “positivi”: preghiere, offerte, sacrifici...). Nel buddhismo viene a mancare proprio questa premessa dualistica fondamentale (il Nirvana coincide col samsara!), non si può parlare di un culto di divinità (riti cultuali) perché, come di dice, il b. è una religione senza divinità, non ci sono figure sacerdotali... Dunque, non ci sono riti oppure tutto può essere considerato rito perché se nulla è sacro tutto è sacro. In un senso meno forte, sono tuttavia presenti cerimonie rigorosamente strutturate, ripetizioni simboliche di eventi o insegnamenti, festività ed altro con valore identitario e di coesione sociale, diversi da comunità a comunità. In Giappone, ad es., sono presenti festività molto popolari come quella dell’8 aprile (nascita di Buddha), recitazioni collettive di sutra o mantra, cerimonie di addio per gli oggetti dismessi, pratiche estetico-mistiche (note in Occidente come “arti zen”), meditazioni di gruppo e soprattutto funerali. La tradizione tibetana o vajirayana è quella in cui si riscontra la maggiore ricchezza di pratiche “liturgiche” più simili a quelle di altre tradizioni religiose. Nei Paesi occidentali la festività del Vesak (in Italia, ultima domenica di maggio) riassume in sé molti degli eventi della vita di Buddha (nascita, illuminazione e morte).
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