È (ri)accaduto. Quando, saliti sull’autobus o per via ci si accorge di non avere più il portafoglio, si aprono due scenari, uno attivo e ansioso (la sequela di telefonate, denunce di documenti, assegni, denaro perduti, etc.), l’altro riflessivo, assai più penoso, fatto di: stupore (è proprio vero? come è potuto accadere?), senso di colpa più o meno marcato (sono stato superficiale, dovevo essere più vigile), frustrazione (attacco all’autostima) e, soprattutto, di smarrimento, quasi un’assenza psichiatrica per l’interruzione della sequenza causa-effetto che ha portato alla sottrazione dell’oggetto e, insieme, della nostra consapevolezza. Sentimento di vuoto, tutt’altro che illuminante (perché non lo metterei tra gli esercizi tantrici per realizzare la coscienza suprema?) e che richiede anzi un lavoro di sutura della beanza che si è prodotta, insieme a quello per scongiurare il rischio dello scivolamento nella misantropia.
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