Blog: un’occasione per parlare di sé ma non per sé, un tentativo di arginare lo spreco di esperienze, pensieri, emozioni, offrendone qualche frammento e fidando sul potenziale di universalità che è in ognuno; per riannodare fili, stabilire legami; come mani, parole tese verso…
domenica 26 ottobre 2008
Schermaglie#4/Drôle de drame
martedì 21 ottobre 2008
Viva la grammatica!
Montaigne sentenzia: “la maggior parte delle occasioni degli sconvolgimenti del mondo sono grammaticali”. Dunque, avanti con lo studio della grammatica, deliziandoci, per esempio, con quella, ancora reperibile, di Alfredo Panzini (II ed. 1933). Alla voce avverbio leggiamo: “è una parola che accelera, rallenta, frena, modifica il movimento del verbo, ne determina la direzione, il tempo, il luogo, il modo. Avverbio appunto vuol dire: che sta vicino al verbo. ‘Poco vedete e parvi veder molto. Di qua, di là, di su, di giù li mena’”.
Che chiarezza e che magnifici quartetti!
venerdì 17 ottobre 2008
Usa, un senatore vuole fare causa a Dio (da La Repubblica)
Aveva fatto causa a Dio, responsabile, a suo dire, di aver diffuso paura e terrore in tutto il mondo. Ma il procedimento giudiziario non avrà alcun seguito: un giudice del Nebraska lo ha infatti respinto, perché Dio non ha alcun indirizzo al quale poter notificare l'avvio della causa. Si chiude così la vicenda che vede protagonista lo storico senatore democratico del Nebraska, Ernie Chambers, che, il 14 settembre dello scorso anno, aveva depositato la sua provocatoria causa in una corte del Nebraska.
Secondo il documento redatto dal senatore 71enne (definito da molti "l'uomo di colore più arrabbiato di tutto lo Stato"), Dio e tutti i suoi seguaci, sarebbero responsabili "delle continue minacce terroristiche, con conseguenti danni per milioni e milioni di persone in tutto il mondo". Minacce la cui credibilità è avallata, secondo Chambers, "dalla storia personale di Dio".
Nel documento gli si attribuisce anche la responsabilità di "terremoti, uragani, guerre e nascite di bimbi con malformazioni". Ancora: Dio è accusato di aver "distribuito, in forma scritta, documenti che servono a trasmettere paura, ansia, terrore e incertezza, al fine di ottenere obbedienza" da parte degli uomini.
Chambers ha spiegato di aver avviato questo procedimento per dimostrare che "tutti possono avere accesso a una corte, indipendentemente dal fatto se siano ricchi o poveri" e per sottolineare che "ognuno può essere citato in giudizio". Il suo obiettivo era di ottenere dai giudici una diffida, in cui si sarebbe dovuto sollecitare Dio a interrompere ogni genere di "minaccia" sul mondo. La causa, comunque, non avrà alcun seguito, perché "non è stato possibile reperire un indirizzo ufficiale di Dio". Il giudice Marlon Polk si è appellato a una legge del Nebraska, secondo la quale chi avvia un procedimento giudiziario deve avere l'indirizzo della persona chiamata a difendersi in aula.
Chambers non si dà per vinto, e anzi si è detto soddisfatto della decisione del giudice. "La corte - ha dichiarato - ha ammesso l'esistenza di Dio. La conseguenza di questa decisione è che viene riconosciuta l'onniscienza di Dio. Quindi, se è vero che sa tutto, deve anche essere a conoscenza di questa causa". Il senatore, che è in carica da 38 anni, ha adesso 30 giorni di tempo per decidere se fare appello. Marco Pasqua (16 10 08).
mercoledì 15 ottobre 2008
cariatidi#2
Cariatidi al Louvre (foto RV)
Théodore de Banville (poeta francese, nato a Moulins 1823, morto a Parigi 1891 nella sua abitazione in rue de l’ Éperon, tomba al Cimitero di Montparnasse) dedica loro il poema Les Cariatides (1842). Qualche verso: "C’est un palais du dieu, tout rempli de sa gloire.
/Cariatides sœurs, des figures d’ivoire/
Portent le monument qui monte à l’éther bleu,
/Fier comme le témoin d’une immortelle histoire.
/Quoique l’archer Soleil avec ses traits de feu/
Morde leurs seins polis et vise à leurs prunelles,
/Elles ne baissent pas les regards pour si peu.
/Même le lourd amas des pierres solennelles
/Sous lesquelles Atlas plierait comme un roseau,
/Ne courbera jamais leurs têtes fraternelles…"
Delizioso il cortometraggio di Agnès Varda, Les dites Cariatides [Le cosiddette Cariatidi] (1984 e 2005), sulla loro presenza graziosa, leggera, sensuale, a volte enigmatica, contributo alla seduzione e al mistero di Parigi.
martedì 14 ottobre 2008
(ancora sulla) costrizione (v. 9 e 26 settembre)
Ambulate, dum lucem habetis, ut non tenebrae vos comprehendant/Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre (Gio 12, 35).
lunedì 13 ottobre 2008
Duras#3
M. Duras, Un barrage contre le Pacifique, Paris, Gallimard [Una diga sul Pacifico, tr. it., Torino, Einaudi: attualmente non disponibile]. Pubblicato nel 1950, è stato il primo grande successo della scrittrice (che diverrà autore consacrato con Moderato cantabile e che raggiungerà la notorietà internazionale con Hiroshima mon amour e la gloria con L’amant). Trova qui una prima espressione il mito di fondazione della scrittrice: la famiglia, l’infanzia-adolescenza nell’Indocina francese (negli anni Venti), l’attesa di una vita significativa: tornerà più volte a disfare e rifare la storia per esprimerla in racconti diversi. Qui il raccontro è centrato sulla storia della madre (insegnante, vedova, ossessionata dall’idea di realizzare la coltivazione di una terra che cercherà invano di proteggere dal mare con la costruzione di una diga), figura amata e odiata, narrata attraverso la sequela di fallimenti, deliri di risarcimento, martirio familiare. Accompagnandola fino alla morte (nella realtà avvenuta diversamente e in in altro luogo) la scrittrice ne delinea il destino e porta a unità la sua vita infelice, conferendole la dignità di una figura tragica. Intorno a lei, la figlia (con la quale l’autrice si identifica), il fratello (ribelle, ignorante, passionale), i personaggi minori. Mentre la madre si consuma nella sofferenza, i figli attendono. Un barrage contre le Pacifique è un romanzo dell’attesa (si badi, non della speranza, fuori luogo in un mondo senza trascendenza): qualcosa avverrà, qualcuno arriverà a consentire l’evasione da una realtà soffocante e sordida. Intanto, la fantasia fa la sua parte, sostenuta dalla musica (la canzone Ramona costituisce la colonna sonora del libro, l’inno dell’avvenire e del distacco), dal cinema, dall’automobile: tutto quello che poteva trasportare, l’anima o il corpo, con le ruote o con “i sogni dello schermo, più veri della vita”, tutto ciò che poteva in qualche modo accelerare “la lenta rivoluzione dell’adolescenza, era la felicità”. Joseph, il fratello, trova in una donna matura e ricca il suo riscatto e Suzanne, morta la madre, se ne andrà anche lei dalla “concessione”, verso la città (Saigon), verso una vita che non le promette niente altro che solitudine e libertà, da quella famiglia disgregata e infelice, da fuggire e da rimpiangere. Per questo Marguerite diverrà scrittrice, per ricordare, ritrovare, rivivere. Autobiografia? Dirà in un’intervista che “la storia della mia vita, della vostra vita, non esiste: il romanzo della mia vita, delle nostre vite, sì ma non la storia. È nella ripresa dei tempi da parte dell’immaginario che la vita viene rianimata; niente è vero nella realtà, niente”: la memoria, infatti, rimodella gli eventi passati e il racconto filtra, espone e nasconde.
Tra nouveau roman e romanzo tradizionale, scritto con libertà stilististica e linguistica, con svolgimento lineare e con improvvisi flash-back (o analessi, retrospezioni), il romanzo ha avuto un adattamento cinematografico nel 1958, per la regia di René Clément, ed è prossima l’uscita di un nuovo film, diretto da Rithy Panh, interpretato da Isabelle Huppert, nel ruolo della madre: potrebbe essere una buona occasione per ristampare la traduzione italiana.
domenica 12 ottobre 2008
smarrimenti
È (ri)accaduto. Quando, saliti sull’autobus o per via ci si accorge di non avere più il portafoglio, si aprono due scenari, uno attivo e ansioso (la sequela di telefonate, denunce di documenti, assegni, denaro perduti, etc.), l’altro riflessivo, assai più penoso, fatto di: stupore (è proprio vero? come è potuto accadere?), senso di colpa più o meno marcato (sono stato superficiale, dovevo essere più vigile), frustrazione (attacco all’autostima) e, soprattutto, di smarrimento, quasi un’assenza psichiatrica per l’interruzione della sequenza causa-effetto che ha portato alla sottrazione dell’oggetto e, insieme, della nostra consapevolezza. Sentimento di vuoto, tutt’altro che illuminante (perché non lo metterei tra gli esercizi tantrici per realizzare la coscienza suprema?) e che richiede anzi un lavoro di sutura della beanza che si è prodotta, insieme a quello per scongiurare il rischio dello scivolamento nella misantropia.
giovedì 9 ottobre 2008
rottura di simmetria
Le ricerche per le quali è stato assegnato il premio Nobel 2008 per la Fisica hanno una grande importanza non solo scientifica ma anche filosofica. Ecco alcuni passi di un articolo comparso su Le Monde del 9 ott. 2008:
Pourquoi y a-t-il quelque chose plutôt que rien ? ", se demandait Leibnitz. Cette interrogation métaphysique, traduite en langage de physicien, peut se formuler ainsi : " Pourquoi vivons-nous dans un monde fait de matière plutôt que d'antimatière ? " C'est pour avoir contribué à éclairer cette question que l'Américain d'origine japonaise Yoichiro Nambu d'une part, les Japonais Makoto Kobayashi d'une part, les Japonais Makoto Kobayashi et Toshihide Maskawa d'autre part, ont été couronnés, mardi 7 octobre, par le prix Nobel 2008 de physique. Tous trois se sont penchés sur les mystères de la " symétrie brisée ", au coeur du fonctionnement le plus intime de l'Univers.
Nous sommes ici dans le royaume de la physique la plus théorique, à l'échelle des particules élémentaires constitutives de la matière. Des particules que l'on peut grossièrement assimiler à des points, et qui ne sont pourtant pas symétriques. Pas davantage que ne l'est le monde perceptible à nos sens où, par exemple, si nous regardons notre main gauche dans un miroir, nous découvrons une main droite. Un phénomène que les chercheurs appellent " brisure de symétrie ".
Dans le monde particulaire, les scientifiques distinguent trois types de symétrie. La symétrie de miroir - ou parité -, qui fait que l'image d'une particule réelle dans un miroir est aussi une particule réelle. La symétrie - ou conjugaison - de charge, qui associe deux particules identiques de charges électriques opposées, comme l'électron et le positon. Enfin, la symétrie - ou renversement - de temps, selon laquelle un processus physique observé en remontant le temps vers le passé est identique à un autre processus observé normalement. Les physiciens le savent aujourd'hui, la nature est asymétrique. Pasteur l'avait déjà énoncé, qui déclarait, au vu de la différenciation de deux molécules miroir sous l'effet de la fermentation : " L'asymétrie, c'est la vie. "
C'est si vrai que dans un monde parfaitement symétrique... nous n'existerions pas. Remontons aux tout premiers instants de l'Univers, quelques fractions de seconde après le Big Bang, voilà 13,7 milliards d'années. S'il s'était formé exactement autant de matière que d'antimatière, ces particules et antiparticules auraient dû s'annihiler dans une gerbe d'énergie, et il y aurait aujourd'hui rien plutôt que quelque chose. Pas de galaxies, d'étoiles, de planètes, de vie.
Or, en 1964, deux Américains, James Cronin et Val Fitch (prix Nobel 1980), ont mis en évidence, en faisant se désintégrer des particules issues d'un accélérateur, une " violation " des lois de la symétrie. Matière et antimatière ne se comportent pas tout à fait de la même manière. Les théoriciens pensent à présent qu'un infinitésimal surplus de la première - une particule supplémentaire sur 10 milliards - aurait suffi, au sein de la soupe primordiale du cosmos, à assurer la victoire de la matière sur l'antimatière.
mercoledì 8 ottobre 2008
Schermaglie#3/Millennium Mambo
sabato 4 ottobre 2008
da Paolo VI, Pensiero alla morte
Ecco: mi piacerebbe, terminando, d'essere nella luce.
Di solito la fine della vita temporale, se non è oscurata da infermità, ha una sua fosca chiarezza: quella delle memorie, cosí belle, cosí attraenti, cosí nostalgiche, e cosí chiare ormai per denunciare il loro passato irrecuperabile e per irridere al loro disperato richiamo.
Vi è la luce che svela la delusione d'una vita fondata su beni effimeri e su speranze fallaci. Vi è quella di oscuri e ormai inefficaci rimorsi. Vi è quella della saggezza che finalmente intravede la vanità della cose e il valore della virtú che doveva caratterizzare il corso della vita: "vanitas vanitatum". Vanità della vanità.
Quanto a me vorrei avere finalmente un nozione riassuntiva e sapiente sul mondo e sulla vita: penso che tale nozione dovrebbe esprimersi in riconoscenza: tutto era dono, tutto era grazia; e com'era bello il panorama attraverso il quale si è passati; troppo bello, tanto che ci si è lasciati attrarre ed incantare, mentre doveva apparire segno e invito.
Ma, in ogni modo, sembra che il congedo debba esprimersi in un grande e semplice atto di riconoscenza, anzi di gratitudine: questa vita mortale è, nonostante i suoi travagli, i suoi oscuri misteri, le sue sofferenze, la sua fatale caducità, un fatto bellissimo, un prodigio sempre originale e commovente, un avvenimento degno d'essere cantato in gaudio e in gloria: la vita, la vita dell'uomo!
Né meno degno d'esaltazione e di felice stupore è il quadro che circonda la vita dell'uomo: questo mondo immenso, misterioso, magnifico, questo universo dalle mille forze, dalle mille leggi, dalle mille bellezze, dalle mille profondità. È un panorama incantevole. Pare prodigalità senza misura. Assale, a questo sguardo quasi retrospettivo, il rammarico di non aver osservato quanto meritavano le meraviglie della natura, le ricchezze sorprendenti del macrocosmo e del microcosmo. Perché non ho studiato abbastanza, esplorato, ammirato la stanza nella quale la vita si svolge? Quale imperdonabile distrazione, quale riprovevole superficialità!
venerdì 3 ottobre 2008
Sui movimenti neo-buddhisti giapponesi
I più rilevanti tra i nuovi movimenti religiosi buddhisti giapponesi (ormai largamente presenti in Occidente e in Italia) si richiamano tutti alla tradizione di Nichiren, fatto che viene dato quasi come ovvio, ma che, a mio parere, richiederebbe di essere più attentamente studiato. Alcuni percorsi di approfondimento potrebbero essere i seguenti:
· I movimenti in questione nascono e si affermano in un periodo storico problematico, in cui il Giappone si sente obbligato a riesaminare e ridefinire la propria identità nazionale e il suo ruolo internazionale. La diagnosi dei mali del tempo in Giappone fatta da Nichiren (rischio dell’invasione mongola etc. per l’allontanamento dall’insegnamento del Sutra del Loto) e il suo l’obiettivo della salvezza della nazione e della realizzazione di una terra di Buddha nel mondo presente (v., tra i vari scritti, quello intitolato Rissho Ankoku Ron, Assicurare la pace nel Paese attraverso l’adozione del vero buddhismo) hanno potuto fornire ai nuovi movimenti le basi sia di atteggiamenti nazionalistici sia, nel secondo dopoguerra, di impegni pacifisti e per la difesa dei diritti umani. Forse nessuna delle altre scuole buddhiste tradizionali aveva mostrato così spiccate preoccupazioni politico-sociali e la figura di Nichiren, molto connotata da elementi della cultura nazionale (mai andato in Cina come molti altri maestri e nutrito quasi esclusivamente degli insegnamenti della scuola Tendai) con, d’altra parte, la sua poca rilevanza fuori del Giappone, ha certamente costituito un elemento forte di identità per movimenti sorti senza grandi aspirazioni universalistiche.
· Il tempo in cui è vissuto Nichiren ha visto, per una esigenza di democrazia, la tendenza a una diffusione del buddhismo dal centro (la corte imperiale) verso la periferia. I movimenti neobuddhisti, con il loro carattere di movimenti di massa, hanno trovato in Nichiren una possibile figura di riferimento molto più popolare e battagliera di altri grandi figure tradizionali per realizzare un analogo tipo di espansione.
· Nichiren ha operato una drastica semplificazione degli insegnamenti e della pratica buddhisti: Sutra del loto e recitazione del titolo come essenza del Sutra, semplificazione quanto mai adatta a movimenti che si vogliono popolari e di massa (a fronte di elaborazioni critiche complesse e di pratiche che necessitano di lunga formazione e tempi più ampi). I movimenti neobuddhisti nascono come movimenti di laici, quindi sono per vocazione mahayana e, in particolare, si riferiscono al Sutra del loto che assicura a tutti la possibilità dell’illuminazione.
· L’ostilità manifestata da Nichren per le scuole tradizionali (il buddhismo dei templi) “autorizzava” una distanza da esse (anche il legame organico della SGK con la componente monastica è stato sciolto negli anni Novanta), favorendo l’affermarsi delle figure indipendenti di fondatori e leader, anche con aspetti di ciò che in Occidente verrebbero definiti di “culto della personalità”: l’identificazione del praticante con il Buddha eterno comporta, infatti, la possibilità di venerare come Buddha del nostro tempo Nichiren o altre figure carismatiche.
mercoledì 1 ottobre 2008
La pratica meditativa
La pratica suggerita dal buddhismo mahayana, in particolare Tiantai/Tendai (in concordanza con altre dottrine di vita e vie di saggezza), può condensarsi nella incessante applicazione di calma e discernimento a tutte le situazioni e condizioni della vita.
Il superamento della finitezza e l’accesso alla dimensione di infinità della Vita si offrono come esperienze dell’
· Assoluto-Uno nella calma (“nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nel silenzio e nell’abbandono fiducioso sta il vostro eroismo”, Is., 30, 15; “la tranquillità della natura ultima di tutte le entità è detta ‘calma’”, Endon Shikan; “quidquid inquietat est a diabolo”) e
· Assoluto-Tutto nella consapevolezza dell’interrelazione universale (“il suo perenne splendore è detto ‘discernimento’”, Endon Shikan): la pratica individuale realizza, pertanto, non solo una illuminazione nel mondo ma la illuminazione del mondo (responsabilità cosmica della coscienza).
Il fine della meditazione formale non è quindi quello di realizzare una sorta di psicoterapia di rilassamento o di produrre un affievolimento e una decostruzione del soggetto, ma di aprirlo alla meravigliosa e inquietante misteriosità del mondo cui appartiene, e di metterlo in grado di narrare, in esso, la propria storia. Si tratta, in altre parole, di un processo di intensificazione della soggettività per costruire un sé espanso, capace di uno sguardo e di una sensibilità che dall’io separato lo conduca alla percezione della Vita aperta. Alla mistica dell’Uno come indistinzione il buddhismo Tiantai/Tendai prova a sostituire una mistica del Tutto come universale incarnato, in cui nulla si perde del fenomeno, che viene anzi arricchito dalla visione di esso come ierofania. La mistica dell’Uno-vuoto non è proposta quindi come meta ma, semmai, come strumento: “Nel raccoglimento mentale privo di segni la sua mente si rallegra, si placa, si ferma, si libera”; ma il praticante si accorge poi che “anche questo raccoglimento mentale privo di segni è coeffettuato e concepito; e tutto ciò che è coeffettuato e concepito è impermanente, destinato a cessare” (Majjhima Nikaya), per cui si volge alla visione del fenomeno-ierofania alla luce della Verità della Via di mezzo. La calma, la pace in cui la mente si placa e si ferma non sarà dunque la “soluzione” ma soltanto una tappa, un momento al pari di quelli di lotta per l’affermazione della realtà, da collocare entrambi nella consapevolezza che diviene, questa sì, il luogo dove tutto si unifica, il conflitto trasceso, l’Assoluto conciliato col relativo. La mente “si rallegra” e dinamicamente “si placa” nello stupore dell’esistenza e nella consapevolezza dell’esserci (realizzazione dinamica della Vacuità). Secondo la tradizione Tendai, il Buddha ha “aperto i tre e rivelato l’uno, aperto il vicino e rivelato il lontano, aperto il breve e rivelato il lungo”, e Chih-i, con la dottrina delle tre verità, ha stabilito una stretta corrispondenza tra mente-verità e realtà; per cui
· alla mente calma e concentrata corrisponde la vivente realtà dell’Unità della vita e di noi stessi come noumeno (“la tranquillità della natura ultima di tutte le entità è detta ‘calma’”; verità della Vacuità);
· la mente ordinaria dice, invece, il fluire della vita, del dolore e del tempo, nella misteriosa e violenta realtà del cibo e del sesso, del nascere e del morire (verità del provvisorio);
· infine, nel discernimento illuminato della mente della Via di mezzo, che tutto accoglie nella forma e nella parola, sempre insufficienti e sempre nuove, l’inesprimibile si disvela e continuamente si cela, l’eterno gioca a nascondino col provvisorio (“il suo perenne splendore è detto ‘discernimento’”; verità della Via di mezzo).
Se nel pensiero indiano possiamo trovare, come in quello europeo erede della fioritura greca, contrapposizione e inconciliabilità dei contrari, il “dono” che il buddhismo riceve dal pensiero cinese è quello di una diversa visione degli opposti, coesistenti e reversibili, di cui il superamento e la conciliazione non sono prospettati attraverso un processo dialettico, ma attraverso una metamorfosi che ne evidenzia il comune fondamento e la costituzione reciproca. Quando, nella “fluidità” (metafora chiave della descrizione cinese) di un processo, una delle determinazioni giunge al proprio estremo fa emergere la determinazione opposta, già presente al suo interno: yin e yang, com’è noto, “contengono”, rispettivamente, una dose di yang e di yin che emergono nella reversione dell’uno nell’altro, in ragione della loro fondamentale unità. Coerentemente, l’istruzione fondamentale per il praticante sarà: “Segui il provvisorio ed entra nella realizzazione della Vacuità; segui la Vacuità ed entra nel provvisorio; questa è la Via di mezzo”. In altri termini, applicando al pensiero e alla totalità dei possibili oggetti, l’osservazione in quattro fasi, si evidenzierà come dall’estinzione del fenomeno (ad es., pausa post-espiratoria) si vedrà apparire il fenomeno successivo (ad es., inizio e manifestazione del nuovo respiro), in una continuità priva di fratture, come accade nello scorrere di un liquido. La sostituzione del punto di vista del processo (nella descrizione della Realtà) a quello della metafisica, di quello del Vuoto a quello dell’Essere, riporta le cose al loro fondamento aperto e creativo, restituendo alla vita la libertà e la pienezza della Via di mezzo.
L’invito a vivere nell’unica effettiva realtà del momento plenario del presente (senza rimpianti, rancori, illusorie speranze), con un’attenzione concentrata, non andrà quindi inteso come un totalitarismo dell’immediato, con esclusioni unilaterali, come verrebbe ad essere un vivere in un presente privo di spessore, senza memoria e senza progetto, senza Proust e senza Leonardo: presente come presenza, presenza che (ri)assume in sé ricordo e previsione. Anche la bellezza effimera di un fiore non è priva di “radici” ed è aperta alla promessa del frutto.
Al di là del tempo di pratica formale, ogni attività e ogni azione possono divenire occasioni di pratica e di applicazione di calma e discernimento: dall’osservazione-del e dall’unificazione-col proprio respiro si può così passare all’osservazione-del e all’unificazione-col “respiro” del mondo.