Stefan Zweig (1881-1942), scrittore di
romanzi, saggi, biografie, è autore dell’indimenticabile Il mondo di ieri; le sue opere hanno ricevuto numerosi adattamenti
cinematografici, teatrali e televisivi, l’ultimo dei quali (2013) è il pregevole Una promessa, di Patrice Leconte, tratto dal romanzo Viaggio nel passato. Ebreo, antinazista, Zweigh è stato un intellettuale europeo ante litteram, ma che l’Europa non ha
saputo proteggere: libri al rogo, leggi razziali, fughe, esilio in Brasile,
dove, nostalgico testimone di un mondo inghiottito, morì suicida nel 1942.
Il romanzo breve Il
candelabro sepolto è del 1937 ed ha per soggetto una
leggenda riguardante la Menorah, il candelabro d’oro a sette bracci, che era
collocato nel Tempio di Gerusalemme ed è il più antico simbolo ebraico, oggi
presente nello stemma dello Stato di Israele. Con la distruzione del Tempio nel
70 d. C. operata dall’imperatore Tito, la Menorah fu portata a Roma come trofeo per poi scomparire: da qui le
numerose leggende, su cui ci intrattiene la dotta postfazione di Fabio Isman contenuta
nella attuale edizione Skira.
Il racconto è ricco di profonde riflessioni
spirituali e pieno di amore per il popolo ebraico, amore che viene trasmesso
anche a noi lettori che viviamo in un’altra epoca e spesso sottovalutiamo o dimentichiamo
cosa significhi l’esistenza dello Stato di Israele per il popolo ebraico (il
quale oggi si prepara ad accogliere, ed è una vergogna per l’Europa, 120.000 ebrei
che, in cerca di sicurezza, forse lasceranno la Francia!).
In questi
giorni di dolorose ferite, in cui «cadono fiori su fiori dall’albero della tristezza»
(Hesse), Il
candelabro sepolto è una confortante lettura che insegna cosa può essere
un’attesa umile, paziente e illuminata. Ricordiamo le parole di W. Benjamin: «per
gli ebrei, il futuro non era un tempo omogeneo e vuoto. In esso, ogni secondo
era la piccola porta da cui poteva entrare il Messia».
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